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A Luca Prosperini il premio 'Rita Levi Moltancini'

01 giugno 2015 | 18.48
LETTURA: 8 minuti

Il riconoscimento per i risultati che sta raggiungendo nel campo del trattamento neuro-riabilitativo

A Luca Prosperini il premio 'Rita Levi Moltancini'

La Fondazione di AISM consegna oggi il Premio Rita Levi Montalcini 2015 al dottor Luca Prosperini, ricercatore presso il Dipartimento di Neurologia e Psichiatria dell’Università Sapienza e neurologo in forza al Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale Sant’Andrea.

Nato ad Anagni (FR) nel 1976, laureato in Medicina e Chirurgia nel 2004 con 110 e lode, specializzato in neurologia con 70 e lode nel 2009, con dottorato di ricerca in Neuroscienze sperimentali e cliniche nel 2013, il dottor Prosperini ha ottenuto questo prestigioso riconoscimento per i risultati che sta raggiungendo nel campo del trattamento neuro-riabilitativo, in particolare per la gestione efficace dei problemi di equilibrio, lo sviluppo di innovativi programmi di riabilitazione e di altre nuove strategie di trattamento farmacologico nella SM.

È il diciottesimo vincitore di questo Premio, istituito da AISM nel 1999 per riconoscere come lo straordinario capitale umano costituito dai giovani ricercatori e dal loro impegno per comprendere e curare la sclerosi multipla SM sia il più importante investimento che un’Associazione come AISM possa effettuare per arrivare a un mondo realmente libero dalla sclerosi multipla.

Dove è iniziato il suo percorso professionale e umano? Perché ha scelto di impegnarti nella ricerca sulla SM?

Ho maturato l’interesse a fare ricerca in ambito neurologico fin dagli ultimi anni del corso di laurea in medicina. Non desideravo essere semplicemente il medico che trova la giusta diagnosi e prescrive i trattamenti necessari, volevo fortemente impegnarmi nella ricerca e soprattutto nella ricerca clinica, effettuata direttamente a contatto con le persone. Ho avuto l’opportunità di preparare la mia tesi di laurea con il professor Pozzilli, un’autorità nel campo della sclerosi multipla: fin dal quinto anno di medicina ho iniziato a seguire l’ambulatorio del Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale Sant’Andrea a Roma. Era il 2002 e sono 13 anni ormai che seguo questo percorso.

Insomma, prima si è occupato delle persone come medico, poi ha iniziato a fare ricerca?

Ho iniziato a fare ricerca autentica durante la specializzazione in neurologia (2005-2009), che ho svolto all’Ospedale S. Andrea (II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Sapienza di Roma). Mi sono appassionato alla ricerca in ambito riabilitativo. E, a pensarci, il mio percorso di ricerca e l’opportunità di ricevere questo Premio sono nati quasi per caso, perché ho conosciuto per motivi personali un otorino che faceva riabilitazione alle persone con deficit vestibolari utilizzando una macchina piuttosto rudimentale. Me la sono fatta prestare e ho iniziato anche io a proporre riabilitazione con quello strumento ai pazienti del nostro ambulatorio che avevano deficit di equilibrio, offrendo alle persone con SM un tipo di servizio che fino a quel momento non esisteva.

Ha partecipato a più di 15 studi clinici sul trattamento della sclerosi multipla ed è autore o coautore di oltre 50 pubblicazioni scientifiche originali sulla sclerosi multipla. Una di queste le ha fruttato nel 2013 il Premio di Miglior Presentazione orale al Congresso ECTRIMS di Copenaghen. Di cosa si trattava?

Avevamo evidenziato con una pubblicazione del 2012[1] come l’utilizzo di una comune consolle commerciale per videogame (Wii Balance Board) per effettuare training di riabilitazione ottenesse effettivi miglioramenti a livello clinico nell'equilibrio dei pazienti con sclerosi multipla. A questo punto la professoressa Patrizia Pantano ha messo a disposizione del nostro gruppo una macchina di risonanza magnetica insieme alla sua ‘expertise’ in questo campo e ha proposto a noi e alla Fondazione di AISM di indagare per verificare tramite le immagini di risonanza se i cambiamenti prodotti dalla riabilitazione nel migliorare l’equilibrio generassero anche modificazioni a livello cerebrale, nel sistema nervoso centrale. E lo studio che abbiamo presentato a ECTRIMS e poi pubblicato nel 2014 ha dimostrato come l’ipotesi fosse vera[2].

Cosa significa che il trattamento riabilitativo per l’equilibrio determina modifiche nella microarchitettura della materia bianca?

Sicuramente evidenzia in modo oggettivo che la riabilitazione non è un semplice palliativo, non è solo come un’incoraggiante pacca sulla spalla, ma funziona anche a livello cerebrale. Nello stesso tempo lo studio mostra nitidamente che la riabilitazione non fa sconti, nel senso che non si può vivere di rendita. Bisogna continuare a rimanere allenati. Nel nostro studio abbiamo effettuato un intervento di 12 settimane e poi osservato che, a distanza di altre 12 settimane dalla fine del trattamento, tutte le modificazioni riscontrate a livello cerebrale e anche la performance sull’equilibrio misurata con posturografia tendevano a ritornare ai valori precedenti (basali). Bisogna dunque continuare a rimanere allenati e, per quello che so, il nostro è stato il primo studio che ha verificato l’effetto di mantenimento dell’efficacia di un trattamento riabilitativo per l’equilibrio.

Vuol dire che ‘la riabilitazione’ è per sempre?

In Italia siamo abituati a svolgere riabilitazione con cicli di 10 sedute, dopo di che non si ha certezza sistematica di altre sedute. Forse questa è un’impostazione da rivedere: le persone con SM credo abbiano bisogno di una riabilitazione continuativa.

Ma può bastare uno studio, sia pure innovativo come il vostro, a ottenere una riabilitazione sistematica e continuativa per le persone con SM?

Ultimamente ho curato un lavoro che è già stato pubblicato sulla rivista Neural Plasticity [3].Abbiamo cercato tutti gli articoli che dimostrano che dopo l’intervento riabilitativo motorio o cognitivo nelle persone con SM cambia qualcosa anche all’interno del cervello, sempre con misure di risonanza magnetica. Abbiamo individuato 16 lavori che presentano risultati in questo senso. Molti riguardano il versante cognitivo, alcuni quello motorio. Il numero e la qualità di questi studi dimostra che questa visione della riabilitazione ha ormai una reale consistenza.

Perché è importante utilizzare uno strumento come la ‘Wii’ o come il ‘Nintendo’ ™ per la riabilitazione motoria e cognitiva?

Certamente non si può e non si potrà mai pretendere che un videogioco sostituisca la fisioterapia effettuata in specifici ambulatori o durante un ricovero ospedaliero. Ma l’utilizzo di una Wii per migliorare l’equilibrio consente di continuare l’attività al proprio domicilio, di dipendere meno da ciò che il sistema sanitario è in grado oggi di offrire a livello ambulatoriale e di mantenere nel lungo termine, per di più divertendosi, quelle abilità che sono state acquisite nel percorso riabilitativo classico.

Di recente la Fondazione di AISM ( FISM) ha finanziato un nuovo studio, sempre sulla riabilitazione: di cosa si tratta?

Ci siamo accorti che i pazienti che utilizzavano la Wii miglioravano anche nelle performance cognitive e non solo in quelle motorie. Su questa considerazione si basa un articolo, una lettera all’editore che abbiamo pubblicato a inizio 2015 sul Journal of Neurology[4]. Secondo quanto si trova in letteratura scientifica anche nella popolazione generale è stato dimostrato che i videogiochi di azione possono migliorare anche la sfera cognitiva. Ora intendiamo studiare nelle persone con SM quel fenomeno noto come interferenza cognitivo-motoria, studiando la sfera motoria e quella cognitiva insieme per dimostrare che una riabilitazione motoria può ottenere un miglioramento sulla sfera cognitiva.

Come pensa di dimostrarlo?

Bisogna identificare l’outcome, ossia il modo con cui si possa misurare quel tipo di risultato atteso. In particolare per questo nuovo studio, in cui sono principal investigator [5], sto utilizzando la pedana stabilometrica che misura il livello di equilibrio della persona. Prima effettuo la misurazione in una condizione di base e poi mentre chiedo ai pazienti di eseguire compiti di tipo cognitivo.

Se infatti una persona sana sale su una pedana stabilometrica mentre si limita a guardare avanti a sé, mantiene un certo equilibrio. Se invece nel frattempo le viene chiesto, per esempio, di partire da 100 e di sottrarre 7 diverse volte (93, 86 etc), le oscillazioni aumentano. Nella persona con SM aumentano in modo più consistente, perché purtroppo c’è un danno neurologico che impedisce di svolgere i due compiti contemporaneamente. In questo modo conto di individuare la misura più efficace in grado di correlare l’impatto di un trattamento riabilitativo tanto sui livelli motori come su quelli cognitivi.

Su quali aspetti si concentra, invece, la sua ricerca sull’utilizzo dei farmaci?

Ho lavorato molto sugli algoritmi terapeutici. Uno dei più impegnativi problemi che noi neurologi dobbiamo affrontare nella pratica clinica, al momento, è che abbiamo una notevole batteria di trattamenti farmacologici, ma non potremo utilizzarla al meglio fino a quando non avremo misure certe per determinare qual è il momento giusto per prescrivere ciascun trattamento, qual è la sequenza di utilizzo più efficace, qual è il tipo di paziente che risponde meglio all’uno o all’altro. Partendo dunque da coloro che ‘non rispondono’ all’interferone, la terapia di prima linea più utilizzata, insieme al professor Pozzili stiamo effettuando una serie di studi osservazionali per individuare quali sono le persone che possono avere il massimo beneficio da ciascun farmaco, al netto dei possibili effetti collaterali [6].

Quali le differenze di fondo, a suo avviso, tra intervento farmacologico e trattamento riabilitativo?

Ciascun trattamento ha la sua importanza e nessuno sostituisce l’altro, semmai si integrano a vicenda. Spesso propongo alle persone che incontro in ambulatorio di immaginarsi il cervello come un secchio pieno di acqua. Quell’acqua, nella metafora, sarebbero i neuroni ed è come se la sclerosi multipla provocasse molte piccole crepe nel secchio, con la conseguenza che l’acqua continua a poco a poco a uscire. Intervenendo con i farmaci che chiamiamo ‘disease modifying’ è come se “tappassimo” i buchi nel secchio. Ma l’unico modo per reintrodurre l’acqua perduta credo che sia la riabilitazione. La riabilitazione restituisce diverse funzioni che i farmaci attuali non restituiranno mai. I farmaci sono essenziali. Ma, se una persona vuole provare a riacquistare una funzione che ha perduto a causa della malattia, deve fare riabilitazione, proprio come affermava una ‘vecchia pubblicazione’ del 1999.[7] Non c’è oggi nessun farmaco che agisca ricostruendo le strutture nervose e le funzioni perdute, anche se ci sono ricerche che mostrano come potrà esserci in futuro.

Un desiderio da realizzare per il futuro?

Il mio sogno è creare un ambulatorio di sclerosi multipla che certamente prescrive i farmaci giusti e monitora l’evoluzione della malattia, ma che promuove anche un percorso riabilitativo costruito in base alle esigenze della persona, consentendole di effettuare riabilitazione anche a domicilio grazie alle opportunità fornite dai nuovi strumenti tecnologici che sono alla portata di tutti. Il desiderio è che cambi la visione della riabilitazione in Italia e che il sistema sanitario nazionale, convinto dalle evidenze scientifiche che stiamo sempre più raccogliendo, consenta a tutte le persone con SM, ovunque vivano, di fruire di un trattamento riabilitativo continuativo, proprio come avviene oggi per le terapie farmacologiche che intervengono sul decorso di malattia.

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