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Sembra Marte ma è Etiopia, studio italiano punta lente su pianeta rosso

15 febbraio 2016 | 15.14
LETTURA: 3 minuti

Monte Dallol - (Foto Unibo)
Monte Dallol - (Foto Unibo)

Sembra Marte ma è Etiopia. E' la zona della depressione della Dancalia, regione nel Nord-Est dell’Afar, poco lontano dal confine con l’Eritrea, che ospita una delle località più ostili, remote, ma anche scenograficamente più colorate al mondo. Si tratta, per la precisione, della caldera del monte Dallol: un cratere vulcanico unico al mondo, dove l'altimetro segna meno 125 metri rispetto al livello del mare, mentre il termometro può arrivare anche oltre i 60 gradi centrigradi, e vapori di cloro e di zolfo riempiono l'aria.

In questa regione estrema, dal carattere geologico unico, si muove una ricerca di frontiera condotta dal dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna, in collaborazione con l’Università di Mekelle in Etiopia, il cui obiettivo è cercare forme di vita in grado di svilupparsi e sopravvivere in condizioni tanto particolari. Organismi unici che, visto il loro habitat, potrebbero essere molto simili alle prime forme di vita comparse miliardi di anni fa sul nostro pianeta. E non solo, perché lo studio coinvolge anche prospettive extraterrestri, puntando in particolare lo sguardo sul pianeta Marte.

"Il Dallol - spiega Barbara Cavalazzi, ricercatrice Unibo, appena rientrata da una campagna di campionamento geomicrobiologico nell'area - è uno spettacolare angolo di mondo, generato da una rara ed unica coincidenza di fattori geologici, che potrebbe determinare la formazione di nicchie ecologiche uniche". "Qui potrebbero nascondersi organismi in grado di sopravvivere in ambienti simili a quelli marziani - prosegue la ricercatrice - forme di vita del tutto simili a quelle che popolarono il nostro pianeta miliardi di anni fa".

Un collegamento, quello con la vita su Marte, che torna anche da un'altra coincidenza: i vasti depositi di sale che si trovano nella depressione della Dancalia potrebbero, infatti, aiutare a capire l'origine degli analoghi depositi di cloruro di sodio su Marte, considerati la prova dell'evaporazione di vaste masse d’acqua salata che avrebbero potuto anche ospitare forme di vita. Per questi motivi, Cavalazzi è stata da poco coinvolta anche nel progetto europeo Europlanet 2020 Research Infrastructure, dedicato a ricerche integrate di scienze planetarie in Europa.

Gli studi nella caldera del Monte Dallol sono realizzati grazie ad un accordo quadro di cooperazione internazionale tra l'Unibo e l'Università di Mekelle. Per l'Alma Mater sono coinvolti anche i docenti Roberto Barbieri, Bruno Capaccioni e Giorgio Gasparotto, con il professore Gian Gabriele Ori dell’Università 'D'Annunzio' di Chieti-Pescara, mentre per l'ateneo etiope è presente il professore Miruts Hagos. Le ricerche in laboratorio vedono la partecipazione di studenti di entrambe gli atenei.

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