(di Valerio Masia) - 'Tufan', lo chiameremo così, è rumeno e ha 31 anni. Vive di espedienti, come di espedienti vive chi non ha nulla. Lui 'rovista' nei cassonetti di Roma come tanti altri. Lo fa per tirare su quei 'quattro soldi' che gli servono per andare avanti. Con i nostri rifiuti, infatti, ci vive. Ha accettato di farsi riprendere dalle nostre telecamere in un giorno qualunque per le vie della Capitale. Rame, ottone.
I 'rovistatori' cercano di tutto: anche cibo. Un fenomeno quello del 'rovistaggio', che non riguarda solo lui. Rom, romeni, stranieri, poveri, che vengono sopratutto dall'Europa dell'Est, ma anche tanti italiani che la crisi ha messo in ginocchio.
Una pratica, quella del 'rovistaggio', che costa cara alla città di Roma. L'Ama infatti svolge tutti i giorni su tutto il territorio comunale circa 326 interventi di recupero di rifiuti abbandonati attorno ai cassonetti. Ebbene, il 30% di questi servizi è dovuto alla rimozione di materiali lasciati fuori dai cassonetti proprio dai 'rovistatori' con un costo altissimo: 8 milioni di euro. Materiali, appunto, oggetto di rovistaggio lasciati intorno a campane e cassonetti in tutta la città.
Noi siamo proprio andati a vedere quello che accade tutti i giorni. Da Val Melaina alla metro Cipro, dove sorgono mercati illegali nei quali vengono venduti i frutti del 'rovistaggio'. Ma rubare nei cassonetti è reato perché i rifiuti, una volta lasciati nei cassonetti, appartengono al Comune in quanto nuovo proprietario degli oggetti abbandonati: la pubblica amministrazione è il soggetto leso in caso di sottrazione. Questi rifiuti, sottratti indebitamente, rappresentano inoltre materiali che possono essere avviati al ciclo del recupero e il danno economico e ambientale è altissimo.
