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Petrolio: Pedde, per Iran nessun problema a medio termine da calo prezzo

18 dicembre 2014 | 13.04
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Petrolio: Pedde, per Iran nessun problema a medio termine da calo prezzo

"L'impatto nel breve-medio periodo sull'Iran" del calo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali - Il Brent è oggi in leggero rialzo sopra i 63 dollari - "non sarà tale da provocare un collasso del sistema". Lo sostiene Nicola Pedde, direttore dell'Institute for Global Studies, commentando con Aki-Adnkronos International gli effetti sulla Repubblica islamica del crollo del barile, ricordando che il paese è "da 35 anni sotto embargo e ha già sperimentato in passato, durante la guerra con l'Iraq (1980-1988)" una situazione simile a quella odierna, dove a "un'economia di guerra si abbinava un prezzo basso del petrolio".

Alcuni esperti hanno evidenziato come un barile intorno ai 60 dollari possa pesare sull'economia iraniana, già messa a dura prova dalle sanzioni per il suo programma nucleare. Diversi esperti di think tank Usa indicano che il punto di pareggio di bilancio per l'Iran è fissato con un petrolio a 140 dollari al barile e spiegano che un costo del petrolio così basso costringe il governo del presidente Hassan Rohani a rivedere il budget per il prossimo anno, provocando tagli agli investimenti ed eventuali ripercussioni sul fronte interno.

"Anche con un prezzo così basso, ci sono ancora margini di guadagno per i paesi produttori - spiega Pedde - E non dimentichiamo i mercati 'paralleli' che riguardano un pò tutti. Credo che le ripercussioni per l'Iran possano essere, sempre considerando il breve-medio periodo, più a livello politico che economico. Ci sono molti all'estero e anche all'interno dell'Iran che non sostengono le aperture di Teheran verso l'Occidente" e che possono puntare su "un effetto mediatico" di un'eventuale calo del prezzo del petrolio, puntando a indebolire il governo.

Ma il 'nodo petrolio' è un argomento che negli ultimi tempi sembra essere diventato centrale per l'esecutivo di Rohani. Ancora pochi mesi fa le autorità iraniane celebravano quell'"economia di resistenza" rispolverata nel 2010 dalla Guida Suprema, Ali Khamenei, come strumento per aggirare gli effetti delle sanzioni internazionali, puntando sulll'autosufficienza e il rilancio delle risorse nazionali. Di tutto altro tenore sono state le dichiarazioni rilasciate dagli esponenti del governo dopo l'ultimo vertice Opec di Vienna che ha accelerato il crollo sui mercati.

La scorsa settimana lo stesso presidente, Hassan Rohani, ha parlato di un "complotto contro i musulmani", mentre martedì il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, ha definito "deplorevole che i paesi della regione (mediorientale, ndr) non collaborino sulla caduta dei prezzi del petrolio e le sue implicazioni negative". Pedde tuttavia esclude che dietro il calo del greggio ci sia una strategia messa a punto a tavolino contro l'Iran, come ipotizzato da alcuni analisti, che vedono un patto Usa-Arabia Saudita in funzione anti russa e anti iraniana.

"Sul prezzo finale del petrolio - sostiene l'analista - incidono troppe variabili, non basta una telefonata tra due paesi per determinare il prezzo. Indubbiamente ci sono manovre speculative, ma sostenere che tutto ciò avvenga per colpire l'Iran è fantascienza", prosegue Pedde, sottolineando che "il calo dei profitti non interessa nessuno".

Un punto interessante ora, secondo il direttore dell'Institute for Global Studies, è capire come i paesi Opec "si ripartiranno il mercato" e gestiranno il crollo dei prezzi. "Bisognerà capire quale sarà la volontà dei paesi - afferma - ma onestamente ipotesi sul lungo periodo sono difficilissime".

Sulla strategia adottata finora dall'Arabia Saudita, che a Vienna ha di fatto bloccato il taglio alla produzione, Pedde afferma che Riad "tende a mantenere la linea tradizionale, che è stata sempre quella di calmierare i prezzi, anche perché ogni volta che ha assunto un profilo più aggressivo ne ha pagato lo scotto". L'Arabia Saudita - aggiunge l'analista - appoggia qualsiasi azione che "colpisca gli interessi iraniani", ma non determina da solo il costo del greggio.

Alcuni analisti hanno ipotizzato che il crollo del barile possa mettere Teheran con le spalle al muro, costringendo i 'falchi' ad accettare un compromesso e firmare l'accordo sul programma nucleare iraniano. Pedde ritiene invece che paradossalmente si potrebbe creare un "effetto contrario", ovvero che l'Iran possa "diventare meno malleabile" in sede di negoziato con il 5+1. Per il governo - conclude - un barile ai minimi storici potrebbe rendere "meno facile" far digerire l'intesa con l'Occidente sul piano interno.

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