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Iran: gli ostaggi Usa e i risarcimenti mai arrivati, 'delusi da governo'

03 febbraio 2015 | 14.35
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Iran: gli ostaggi Usa e i risarcimenti mai arrivati, 'delusi da governo'

Sono stati rapiti, tenuti in isolamento, hanno subito finte esecuzioni, sono stati picchiati con tubi di gomma e legati agli alberi. Lo shock dei 444 giorni di prigionia è ancora vivo in tanti di loro, che hanno visto le loro vite naufragare al ritorno a casa, e nei familiari che ricordano l'attesa spasmodica e l'ansia per la loro sorte. Ma per i 52 americani presi in ostaggio all'ambasciata americana a Teheran nel 1979 il governo non ha ancora stanziato neanche un dollaro di risarcimento.

Il motivo principale è una clausola contenuta nell'accordo firmato ad Algeri nel 1981 che sbloccò la crisi consentendo il ritorno a casa degli ostaggi. L'intesa impedisce loro di intraprendere un'azione legale contro l'Iran. Quando è stato tentato di adire alle vie legali, il Dipartimento di Stato ha ribadito che quegli accordi sono ancora validi. E dopo tutto, quello raggiunto in Algeria era riuscito a mettere fine a uno degli episodi più traumatici della storia americana.

Il risultato? Non solo l'Iran non ha ancora pagato neanche una multa per aver assaltato l'ambasciata, violando il principio fondamentale dell'immunità diplomatica, che risale all'antichità ed inserito nei codici dal 1961, ma molti ostaggi oggi si dicono "delusi" da quel paese che avevano accettato di servire con devozione.

"Siamo frustrati perché proprio il nostro governo ci ha fatto opposizione ed implicitamente ha lavorato di concerto con la Repubblica islamica. E' una specie di brutto romanzo di John le Carre", ha affermato John Limbert, diplomatico del Foreign Service che durante la prigionia a Teheran trascorse molti mesi in isolamento.

Falliti tutti i tentativi di ottenere risarcimenti, Thomas Lankford, l'avvocato di Alexandria che rappresenta gli ostaggi, ha deciso di rivolgersi direttamente al Congresso, grazie anche alla sponda del senatore della Georgia, Johnny Isakson. La strategia puntava a far passare un emendamento che istituiva un fondo per i risarcimenti "alimentato dalle multe pagate dalle società e dai singoli individui che, violando le sanzioni, avevano fatto affari con l'Iran illegalmente, più una soprattassa", ha spiegato il legale.

Tutto sembrava andare per il verso giusto - ha raccontato Lankford - "Eravamo a un passo dal successo" perché l'emendamento del senatore pareva destinata a confluire nella legge sul budget. La notte dell'uno dicembre l'avvocato era convinto di avercela fatta per poi scoprire con delusione il mattino successivo che era tutto da rifare. Il 20 gennaio, anniversario del rilascio degli ostaggi, il senatore Isakson ha diffuso un comunicato per ribadire che avrebbe tentato ancora di far approvare il risarcimento per le vittime.

Un ultimo appiglio per gli ex ostaggi rimasti in vita - 13 sono morti - sembra essere il negoziato tra le potenze mondiali, tra cui gli Usa, e l'Iran sul programma nucleare di Teheran. Ma anche in questo caso la doccia gelata del Dipartimento di Stato non si è fatta attendere. Pur esprimendo "vicinanza" agli ex ostaggi per la loro situazione, il governo ha sottolineato che "i colloqui sono focalizzati su una sola questione - impedire che l'Iran si doti di un'arma nucleare", aggiungendo che si continuerà a lavorare con il Congresso "per esplorare le opzioni" che possano portare ai risarcimenti.

Tra i familiari cresce la rabbia per quella che reputano una profonda ingiustizia. Le vite di molti ex ostaggi, infatti, sono andate a pezzi al loro ritorno a casa. Come ha raccontato Deb Firestone, figlia di Bruce German, nel 1979 budget officer dell'ambasciata americana a Teheran. Nel 1982, subito dopo una cerimonia alla Casa Bianca in onore degli ostaggi, German se ne andò di casa, lasciando la moglie e tre figli. Oggi vive in Pennsylvania e Deb ha confessato di riuscire a parlargli solo di rado. German non è andato ai matrimoni dei figli né conosce nessuno dei suoi sei nipoti.

Nella casa di Deb a Rockville il televisore è acceso. In onda vanno le immagini dell'attacco terroristico a Charlie Hebdo e dei parigini che marciano in solidarietà con i giornalisti uccisi. Immagini che subito richiamano in Deb la telefonata che ricevette dal padre circa 35 anni fa, quando le comunicò che era stato sequestrato. "Scene come queste riacutizzano in dolore. Ancora oggi è una ferita aperta".

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