L'intervento di una forza di "peacekeeping non è la soluzione" per risolvere la crisi in Libia, ma "la soluzione è il processo politico" tra le parti in conflitto "sotto l'egida internazionale" che "per sua natura è in contrasto con la soluzione armata". Lo afferma l'ambasciatore libico in Italia, Ahmed Safar, in un'intervista ad Aki-Adnkronos International sulla minaccia rappresentata dallo Stato islamico (Is) nel paese nordafricano.
Sarà il processo politico che "si sta svolgendo con la mediazione di Leon (il rappresentante speciale dell'Onu in Libia, ndr) a valutare tutte le possibilità per il futuro del paese", sostiene l'ambasciatore che rappresenta il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale.
"Questo processo - prosegue Safar - è da apprezzare perché in poco tempo ha portato risultati utili per la pacificazione della Libia, come "apprezzo le dichiarazioni del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che sostiene le sue decisioni".
Secondo l'ambasciatore, in sostanza, "anche la decisione di un intervento di una forza di pace deve nascere da questo processo per essere accettata (dalla popolazione, ndr) e diminuire così il rischio di un eventuale rifiuto, che potrebbe essere elevato".
Safar invita quindi la comunità internazionale a non commettere l'errore di agire in Libia con l'emotività dettata dai recenti eventi, non ultimo la decapitazione di 21 egiziani copti ad opera dell'Is. "Non dimentichiamo - conclude - cosa è successo in Iraq e Afghanistan e anche nella stessa Libia dopo l'intervento internazionale. Bombardare è facile, ma bisogna pensare anche alle conseguenze di tutto ciò".