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Cultura: Emanuele, se fossi in Franceschini batterei pugni per più fondi

29 gennaio 2015 | 13.34
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Il presidente della Fondazione Roma: "Bisogna far comprendere a chi ci governa che il settore è strumento di crescita economica. Cambierei perfino nome al Mibact in ministero dell'Economia culturale". E sul rapporto tra pubblico e privati: "Non esiste. In Italia sono visti con sospetto. Ne è un esempio il caso Della Valle con il Colosseo"

Emmanuele F.M. Emanuele (foto Infophoto) - INFOPHOTO
Emmanuele F.M. Emanuele (foto Infophoto) - INFOPHOTO

"Se fossi ministro dei Beni culturali batterei i pugni sul tavolo del Governo per fare comprendere l'importanza della cultura come strumento di crescita economica. E cambierei anche il nome del Mibact in ministero dell'Economia culturale". A parlare così è il presidente della Fondazione Roma, Emmanuele F.M. Emanuele, in un'intervista video all'Adnkronos, sottolineando di essere in "piena sintonia con il ministro Dario Franceschini, ma quando il governo mette a disposizione della cultura solo lo 0,1% del Pil, allora non c'è futuro, non c'è speranza, questo mondo finisce. E lo dico con amarezza".

"In Italia - prosegue Emanuele - la grande industria è in difficoltà, la piccola e media impresa è oberata da problematiche amministrative e burocratiche, l'agricoltura attraversa un momento difficile per la concorrenza forte e perché i giovani non hanno più la passione per i campi. Abbiamo due cose: il territorio e la grande cultura. E' possibile che chi ci governa non lo capisca?".

Quanto all'operato di Franceschini, per Emanuele, che nel 2012 sull'argomento aveva pubblicato un libro dal titolo 'Arte e Finanza', sta andando nella direzione giusta: "L'Art Bonus è un provvedimento corretto, malgrado la percentuale non sia rilevantissima. Inoltre il ministro ha ben compreso la necessità di separare la conservazione dalla valorizzazione dei beni culturali, e i manager devono accompagnare i soprintendenti nella gestione delle opere d'arte per la loro valorizzazione. Franceschini ce la mette tutta, ma se i nostri governanti hanno altre visioni, speranze non ne vedo", conclude Emanuele.

Sull'intervento dei privati nella gestione dei beni culturali, Emanuele non ha dubbi: "In Italia il pubblico non ama l'intervento dei privati, che vengono visti come esogeni al sistema, con sospetto, senza convinzione di coinvolgerli in maniera partecipativa al progetto". E cita l'esempio di Della Valle "che si è offerto di restaurare il Colosseo e ha impiegato quattro anni per poterlo fare".

"Il rapporto tra pubblico e privato, che da noi è solo un refrain ripetuto inutilmente e che nei fatti non esiste, è stato invece realizzato in Inghilterra -sottolinea Emanuele- con la famosa 'Big Society' di Cameron. Lì i cittadini possono adottare un parco, una libreria, una scuola. Possono dare una concreta partecipazione. La visione italiana invece impedisce ai privati, anche ad organizzazioni non profit come la Fondazione Roma, di dare risposte ai bisogni della collettività".

Secondo Emanuele "se lo Stato non c'è e i privati neppure, allora bisogna consentire al mondo della cosidetta filantropia, del privato sociale, di fare le cose. E' la sussidiarietà prevista anche dall'articolo 118 della Costituzione. Noi in Italia -prosegue - abbiamo una storia religiosa prima ancora che culturale, perché la visione di questo tipo di intervento risale al medioevo e al rinascimento, eppure non riusciamo a realizzare la sussidiarietà: il pubblico non ama il privato, è inutile continuare con questa vecchia canzone, il rapporto pubblico-privato non esiste", conclude.

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