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Addio allo scrittore ungherese Imre Kertesz, Nobel per la Letteratura nel 2002

31 marzo 2016 | 11.34
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Imre Kertesz  (Afp) - AFP
Imre Kertesz (Afp) - AFP

Addio allo scrittore ungherese Imre Kertesz, premio Nobel per la Letteratura 2002. L'autore di 'Essere senza destino', testimone della tragedia della Shoah, è morto stamani all'alba nella sua casa di Budapest dopo una lunga malattia. Aveva 86 anni. L'annuncio della scomparsa è stato diffuso dalla sua casa editrice Magveto Kiado.

Nato a Budapest il 9 novembre 1929 da una famiglia borghese ebrea, Kertesz nel 1944 venne deportato ad Auschwitz e poi trasferito in altri campi di concentramento rientrando, dopo la liberazione, in Ungheria. Lo scrittore è noto per il resoconto semiautobiografico dell'Olocausto che costituisce l'argomento della trilogia composta da 'Essere senza destino', 'Fiasco' e 'Kaddisch per il bambino non nato' (tutti e tre i romanzi sono stati tradotti in italiano da Feltrinelli).

Il libro 'Essere senza destino' (Feltrinelli, 1999, premio Flaiano 2001) per molto tempo non ha trovato un editore in Ungheria, una volta uscito, nel 1975, è stato ignorato e il suo autore messo al bando. Kertesz, che ha dovuto attendere il crollo del muro di Berlino per vedere riconosciuta la propria opera, in patria e all'estero, ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 2002 "per una scrittura che sostiene la fragile esperienza dell'individuo contro la barbarica arbitrarietà della storia".

Tra i riconoscimenti ricevuti anche il Premio Lettura del Grinzane Cavour nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato anche i romanzi 'Liquidazione' (2005), 'Storia poliziesca' (2007) e 'Dossier K'. (2009). 'Essere senza destino', il suo primo e più famoso romanzo, descrive l'esperienza di un ragazzo ungherese di quindici anni nei campi di sterminio nazisti di Auschwitz, Buchenwald e Zeitz. Il romanzo, scritto in dieci anni, è basato sull'esperienza diretta dell'autore. Kertesz ha dichiarato: "Ogni volta che penso a un nuovo romanzo penso a Auschwitz".

Dal libro 'Essere senza destino' è stato tratto il film di Lajos Koltai 'Senza destino' (2005), di cui Kertesz ne curò la sceneggiatura. Nel 2012 Kertesz ha annunciato la sua intenzione di abbandonare la scrittura. Lo stile impiegato in particolare nella sua trilogia, spesso ironico e autoironico, l'ostentata oggettività, è il magistrale travestimento letterario che conduce il lettore a inorridire di fronte al silenzio della Shoah. Kertesz rifiuta ogni accostamento ideologico al tema, sia esso politico o religioso; l'Olocausto degli ebrei non è più questione di un singolo popolo, ma il trauma dell'intera civiltà occidentale.

Tornato in Ungheria nel 1948 dopo le terribili vicissitudini della Shoah, Kertsez collaborò come giornalista fino al 1951 collaborò con la rivista "Világosság" (Chiarezza) e lavorò come operaio in una fabbrica. Dal 1953 per mantenersi iniziò a tradurre prosa austriaca e tedesca (tra gli altri Freud, Nietzsche, Canetti, Wittgenstein) e a scrivere romanzi e opere per il teatro, non senza resistenze da parte del mondo politico-editoriale del regime comunista, che lo censurò più volte.

Tra le altre opere di Kertsez figurano 'Il vessillo britannico' (1991, traduzione italiana di Giorgio Pressburger da Bompiani nel 2004), 'Il secolo infelice' (traduzione italiana di Krisztina Sándor con una consulenza di Alessandro Melazzini apparsa da Bompiani nel 2007) e 'Verbale di polizia' (1993, traduzione italiana di Giorgio Pressburger apparsa da Casagrande nel 2007).

Della sua produzione saggistica vanno ricordati i testi 'L'Olocausto come fenomeno culturale' (1993), 'Il silenzio del pensiero fin quando il plotone dei giustizieri è di nuovo al completo' (1988), 'La lingua esiliata' (2001). E' inoltre autore dell'autobiografia 'Diario dalla galera' (1992, a cura di Alessandro Melazzini, traduzione italiana di Krisztina Sándor apparsa da Bompiani nel 2009).

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