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Mostre: 'La rottura del Quadro' di Pino Pinelli allo Spazio PAePA di Milano

29 settembre 2016 | 11.01
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Pittura Bl. di Pino Pinelli (1996)
Pittura Bl. di Pino Pinelli (1996)

Lo Spazio PAePA di Milano, diretto da Giuliano e Nunzia Papalini, ospita, dal 5 ottobre al 20 novembre prossimi una personale di Pino Pinelli intitolata 'La rottura del Quadro', curata da Giorgio Bonomi, per celebrare il quarantennale della grande intuizione del Maestro che nel 1976 rompe i rassicuranti confini del quadro e dissemina la sua pittura nello Spazio. La mostra ripercorre l’intero percorso della ricerca artistica di Pinelli con una serie di opere che evidenziano le diverse declinazioni della 'frattura', a cominciare da una delle prime: 'Pittura Gr.' del 1977, passando per 'Pittura Bl.' del 1996, fino a una decina di lavori realizzati appositamente per l’esposizione. "E’ nel 1976, con 'Pittura Gr' -spiega Bonomi- che si origina la 'rottura del quadro', la sua frammentazione, la sua dislocazione: la 'disseminazione', concetto, e pratica, questo che va molto al di là, di un semplice 'spargimento'. Il lavoro sopracitato è un rettangolo 'virtuale', in quanto è composto dai quattro angoli del poligono equiangolo con il vuoto al centro e nelle interruzioni dei quattro lati. I quattro elementi angolari hanno uno spessore di circa cinque centimetri e sono ricoperti di flanella non preparata grigia".

"Da qui poi Pinelli, nell’arco di un quarantennio, svilupperà le sue disseminazioni multiple, le sue traiettorie; userà altri materiali; arricchirà le cromie con i colori fondamentali da cui derogherà pochissime volte, ma -sottolinea Bonomi- non abbandonerà mai la forma quadrangolare, infatti al 'rettangolo tagliato' affiancherà anche il 'quadrato tagliato' spezzata nei quattro lati, oppure solo in due, il 'vuoto' al centro dell’opera avrà in alcuni casi una forma a 'croce', in più il materiale sarà quello 'vellutato', tipico dell’artista, le superfici saranno anche parzialmente 'rigonfie' o 'solcate', i colori essenzialmente i primari e, a volte, i complementari, oltre al bianco e il nero". Nato a Catania nel 1938, Pinelli arriva a Milano nel 1964 dove la comunità artistica, che ruota intorno al mitico Bar Giamaica, è animata, oltre che dal maestro per eccellenza, Lucio Fontana, dalle 'provocazioni' dadaiste di Piero Manzoni e dal genio inquieto di Enrico Baj. Intorno a loro una schiera di artisti, giovani e meno giovani, alla ricerca di una identità, del colpo di genio, del grande gesto, che li consacri definitivamente aprendogli la strada del successo che non sempre arriva per tutti.

Pinelli guarda, osserva, annusa, ma da buon siciliano non si butta nella mischia. Lui è un pittore e alle provocazioni, anche se adora quelle di Manzoni, preferisce la pittura, è più nelle sue corde, tuttavia sente il richiamo dello spazio, di quell’immensa superficie aperta da Fontana con il suo 'taglio' liberatorio. Inizialmente aderisce e diventa subito uno dei protagonisti di quella corrente che Filiberto Menna definisce 'Pittura Analitica' nella quale si distingue per la monocromaticità dei suoi lavori. Anche lui, come Fontana, si sente soffocare all’interno del quadro, vuole superare quel limite, varcare quella soglia, senza però rinunciare alla pittura. Ed ecco che arriva la grande intuizione: con un gesto altrettanto definitivo, Pinelli 'straccia' la tela. La riduce in tanti 'frammenti' che dissemina in modo organizzato nello spazio. E’ la metà degli anni ’70 e inizia così la lunga e fortunata stagione delle disseminazioni che diventano il codice interpretativo della sua ricerca.

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