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Da Giulietta alla Ds, l'arte di dare un nome alle automobili

26 gennaio 2018 | 13.36
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Una pubblicità della Giulietta di fine anni 50 - Wikipedia
Una pubblicità della Giulietta di fine anni 50 - Wikipedia

A un’automobile non serve un ‘nome’ per entrare nella storia: l’esempio della Porsche 911 lo conferma. Ma l’emozione che certi modelli sanno suscitare nasce anche dalla scelta di nomi più o meno evocativi (quando sono azzeccati). E l’Italia in questo processo ha un posto di assoluto rilievo, fra nomi di donna – Flavia, Fulvia, Flaminia – o di località (Maranello, Capri, Modena), ma grazie anche alla musicalità della nostra lingua. Lo conferma lo storico dell’Onomastica Enzo Caffarelli, in un volume ‘I nomi delle automobili’ (Ed. Ser – L’Officina Romana, pp.117) in cui scandaglia, fra sigle e denominazioni degli ultimi 125 anni, il percorso che porta a ‘battezzare’ un modello.

A volte è solo una semplice coincidenza, come l’aneddoto secondo cui fu la galanteria di un principe russo, in un ristorante parigino, a indicare l’unica donna al tavolo di un gruppo di ingegneri dell’Alfa come ‘la Giulietta fra tanti Romei’. Altre volte c’è una lunga ricerca, con tanto di sondaggio fra i clienti (come per la VW Tiguan), altre volte ancora il nome di una vettura arriva dopo: un soprannome – il ‘Maggiolino’ o la ‘Topolino’ – che si va a sommare alla definizione ufficiale (Typ1 e 500) fino a cancellarlo per entrare nell’immaginario collettivo. Ci sono poi le scelte perfette, come quella di ribattezzare la nuova Citroen DS, ovvero 'déesse', in francese: e dalla strada al mito la ‘dea’ non ha mai perduto il suo nome ideale.

Ma il libro di Caffarelli – che verrà presentato sabato 27 al Museo delle Auto della Polizia di Roma – copre anche tanti altri aspetti di questo processo, dai nomi ‘scomparsi’ alle sigle, passando per le curiosità – come l’agenzia italiana Nome che ha battezzato la Renault Clio o la Fiat Stilo – e per le denominazioni ‘infelici’ .

Qui il racconto rischia di allungarsi, perché quasi sempre per un nome la difficoltà di essere accettato è legata a riferimenti locali: così in Italia hanno faticato – fino a sparire - la VW Jetta e la ‘sorella’ Bora (burina in dialetto romanesco). Ma non è andata meglio alla Opel Nova (Non va, in spagnolo) o alla Toyota MR2 (che in Francia diventava simile a ‘est merdeux’ e la traduzione è inutile).

Un controllo preventivo, infine, avrebbe evitato a Mazda di ribattezzare un suo modello ‘Laputa’ (in spagnolo davvero poco elegante) mentre la Rolls Royce fece in tempo a bloccare la distribuzione della raffinata ‘Silver Mist’. L’evocativa ‘foschia argentata’ – ideale per una vettura così raffinata - in tedesco avrebbe funzionato molto meno, visto che Mist significa ‘sterco’.

Insomma, un libro per guardare alle auto in maniera diversa, scoprendo il percorso – spesso affascinante, talora divertente – che porta a dare un nome a un modello. Una storia antica come le stesse quattro ruote, se si considera che la più antica marca al mondo ha ‘rubato’ il nome a una ignara bambina, figlia del console a Nizza dell’impero austro-ungarico Emil Jellinek. Anche la sorellina Maja, ebbe in ‘regalo’ dal padre il nome di un modello, ma di lei si è persa traccia. Della piccola Mercedes, invece, no.

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