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Appello del processo Ruby e caso escort, guai doppi per Berlusconi

11 luglio 2014 | 14.38
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Il pg di Milano chiede la conferma dei 7 anni per le telefonate fatte dall'allora presidente del Consiglio al capo di gabinetto Pietro Ostuni la sera tra il 27 e il 28 maggio 2010: "Un abuso colossale". E a Bari è stato chiesto il giudizio per l'ex premier e Lavitola: il leader di Forza Italia avrebbe pagato l'imprenditore barese Tarantini per nascondere ai magistrati baresi la verità sulle escort portate alle feste

(INFOPHOTO)
(INFOPHOTO)

Il pg di Milano Piero De Petris ha chiesto di confermare la condanna a 7 anni di carcere per Silvio Berlusconi imputato nel processo d'appello sul caso Ruby con le accuse di concussione e prostituzione minorile. Secondo l'accusa "non vi è ragione" per non confermare la condanna inflitta dai giudici di primo grado e, dunque, "non vi sono elementi" perché Berlusconi non debba essere condannato.

La Procura di Bari - Nella stessa giornata, la Procura di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio per l'ex premier e Valter Lavitola. I due sono accusati di induzione a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria. Secondo il procuratore aggiunto, Pasquale Drago, il leader di Forza Italia avrebbe pagato l'imprenditore barese Giampaolo Tarantini, tramite Lavitola, affinché nascondesse davanti ai magistrati baresi la verità sulle escort portate alle feste organizzate nelle sue abitazioni. In particolare, Berlusconi avrebbe indotto Tarantini a tacere parte delle informazioni di cui era a conoscenza e a mentire nel corso degli interrogatori cui venne sottoposto dai magistrati baresi tra luglio e novembre 2009.

Le telefonate dell'ex premier - Nella requisitoria nel processo d'appello a Milano, durante la sua requisitoria il pg ha parlato di un "abuso a tuttotondo, forte, colossale" con una "inequivoca portata intimidatoria", riferito a ciò che l'ex premier avrebbe attuato nei confronti di alcuni dei poliziotti della Questura di Milano protagonisti del caso.

De Petris, affrontando le questioni preliminari - in particolare quelle legate alle questioni di rinnovo del dibattimento - ripercorre le telefonate fatte dall'allora presidente del Consiglio al capo di gabinetto Pietro Ostuni la sera tra il 27 e il 28 maggio 2010, quando la minorenne viene fermata e portata negli uffici di via Fatebenefratelli.

Se i poliziotti coinvolti "capiscono perfettamente che non è affatto vero che c'è la parentela tra Ruby e Mubarak, capiscono anche, al tempo stesso, la gravità dell'abuso colossale" dice De Petris.

La soggezione psicologica - Per il pg "lo stato di forte soggezione psicologica" in cui Ostuni viene a trovarsi "è attestato dal comportamento che lui ha tenuto, dai pressanti inviti rivolti alla Iafrate (funzionaria della Questura, ndr) per consegnare la minore alla Minetti e accelerare le procedure. Se ha agito in questo modo è perché si trovava in uno stato di soggezione".

Non solo: Berlusconi "non si è limitato a far valere la sua carica" ma "ha paventato un incidente diplomatico" e ciò manifesta "l'interesse personale" dell'imputato "e denota anche una inequivoca portata intimidatoria" del suo agire.

Il furto di Ruby - In aula il pg ricostruisce le fasi che portano all'inizio dell'inchiesta: Ruby accusata da un'amica di furto e portata in questura dove con un "corretto operato" gli agenti scoprono, attraverso il sistema Sistema d’Indagine 'SDI', che Ruby è una "giovane marocchina e ha precedenti per furto". Così, in tempo reale, sanno di "aver fermato una ragazza marocchina scappata da una comunità e che ha commesso in precedenza un furto. L'Egitto è molto lontano".

Come da "prassi" in un caso del genere "si contatta subito il pubblico ministero per decidere come agire, il pm "correttamente svolgendo il proprio ruolo" dà indicazioni precise: "La dovete fotosegnalare e mettere in comunità. Se non c'è posto in comunità, deve restare in Questura".

Nicole Minetti - Poi "lo scenario cambia immediatamente", in Questura "entrano in fibrillazione: la ragazza non deve essere segnalata e deve essere rilasciata, Ostuni ha ricevuto una telefonata dal presidente del Consiglio, si corre al piano del fotosegnalamento che però è stato già eseguito". Si passa "dalla calma assoluta all'estrema concitazione", da qui il comportamento tenuto "non è conforme alla prassi collaudata, la regola generale non è stata assolutamente seguita" e Ruby viene affidata alla consigliera regionale Nicole Minetti.

Eppure la parentela con Mubarak "è falsa, non sta in piedi", una bugia che dura "lo spazio di un battito d'ali" ma che viene rafforzata con le parole di Berlusconi a Ostuni 'abbiamo un problema'", se non si interviene potrebbe esserci "un incidente diplomatico".

Stop ai nuovi testimoni - La pubblica accusa respinge inoltre la richiesta della difesa di ascoltare nuovamente dei testi: "Si tratta di esami di testi non solo comuni" - tra accusa e difesa - ma verrebbero ascoltati "sulle medesime circostanze. È chiaro - spiega il pg - che per l'economia processuale si deve ritenere che la strada seguita dal tribunale sia quella corretta".

In questo senso il pg si oppone a sentire nuovamente i testi, come la madre di Ruby, perché se "può essere di qualche interesse massmediatico", riascoltarli in questa sede ha un valore "pari a zero", dice citando ad esempio l'inutilità di "sentire testi come Cristiano Ronaldo".

Competenza territoriale - Per quanto riguarda infine la competenza territoriale, è del Tribunale di Milano perché la concussione si configura "senza dubbio" a Milano e non c'è competenza del Tribunale dei ministri.

Per il pg De Petris, la difesa o ha dimenticato o non ha letto un capo di imputazione" in riferimento alla concussione che si attua nel momento in cui Berlusconi contatta la questura del capoluogo lombardo. "Il capo di imputazione contiene un inciso", una circostanza "palesemente falsa quando si dice che Ruby era nipote di Mubarak e c'è la prova della radicale falsità di questa circostanza".

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