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Nozze nulle per la Chiesa ma non per lo Stato se la convivenza dura da almeno tre anni

17 luglio 2014 | 18.45
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La Cassazione ha posto un limite al recepimento delle nullità matrimoniali, dichiarate dai giudici ecclesiastici. Gli ermellini hanno respinto il ricorso dell'uomo perché ha fatto valere il principio del lungo rapporto tra i due coniugi

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Non sono annullabili dai giudici italiani le nozze quando "la convivenza si è protratta per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio 'concordatario'". Lo hanno sancito le Sezioni unite civili della Cassazione con la sentenza 16379 depositata oggi. Il caso portato all'attenzione del massimo consesso di piazza Cavour ha riguardato una coppia di Bassano del Grappa che si era sposata con matrimonio concordatario il 23 maggio 1998. Il matrimonio, ricostruisce la sentenza, era stato dichiarato nullo dal Tribunale ecclesiastico regionale del Trivenento 'per esclusione della indissolubilità del vincolo da parte della donna' nel gennaio 2009. Nullità confermata anche dal Tribunale regionale lombardo in appello (3 settembre 2009) e dalla Sacra Rota il 9 dicembre 2009. La moglie ha chiesto che la sentenza di nullità da parte della Chiesa venisse riconosciuta anche dallo Stato e la Corte d'appello di Venezia, l'11 gennaio 2011, ha dichiarato l'efficacia della sentenza canonica, sostenendo che la "sentenza canonica non contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico interno". Ora la Cassazione, sciogliendo il contrasto giurisprudenziale sul punto, ha sottolineato che "la convivenza come coniugi protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario regolarmente trascritto, è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell'ordine canonico nonostante la sussistenza della convivenza coniugale".

Beninteso, precisa la Suprema Corte, la "convivenza come coniugi deve intendersi - secondo la Costituzione, le Carte europee dei diritti, come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, ed il Codice civile - quale elemento essenziale del 'matrimonio-rapporto', che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari". Va detto che nel caso in questione la Cassazione ha preso atto del fatto che i giudici di merito hanno accolto la domanda di delibazione, affermando che "la sentenza canonica non contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico interno in quanto l'esclusione dell'indissolubilità del matrimonio da parte della moglie, che si dichiarò atea, era stata manifestata, secondo i giudici ecclesiastici, anche a terzi" e che in sostanza la donna si limitò ad una "accettazione solo formale degli impegni del matrimonio". In questo caso la Cassazione ha respinto il ricorso dell'uomo solo perché, per la prima volta davanti agli 'ermellini', ha criticato la sentenza impugnata deducendo "la contrarietà all'ordine pubblico interno degli effetti riconosciuti dalla Corte di Venezia alla pronuncia canonica di nullità del matrimonio concordatario, contratto con la moglie circa dieci anni prima" e dal quale è nata una figlia.

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