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Ai testimoni di giustizia i benefici riservati alle vittime di mafia, la Sicilia in prima fila

25 luglio 2014 | 15.29
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Il ddl è stato incardinato in Aula. Il testo potrebbe ottenere il via libera definitivo di Sala d'Ercole dopo l'approvazione della finanziaria e prima della pausa estiva, prevista per il prossimo 29 luglio. Piera Aiello: "Noi fantasmi con una vita stravolta ma rifarei tutto"

 (foto Infophoto)
(foto Infophoto)

La Sicilia potrebbe essere la prima regione d'Italia ad estendere ai testimoni di giustizia i benefici riservati alle vittime della mafia. Primo tra tutti la possibilità per loro di essere assunti nella pubblica amministrazione. Il ddl, presentato dal governo e scritto proprio dai testimoni di giustizia, è stato incardinato in Aula. Un risultato arrivato dopo un incontro tra il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone, una delegazione di testimoni di giustizia (Ignazio Cutrò, Piera Aiello, Vincenzo Conticello e Giuseppe Carini), e i parlamentari siciliani Fabrizio Ferrandelli e Baldo Gucciardi (Pd) e Giovanni Digiacinto (il Megafono).

Il testo, che ha ottenuto il via libera dalle commissioni Antimafia, Bilancio e Affari istituzionali, potrebbe, dunque, ottenere il via libera definitivo di Sala d'Ercole dopo l'approvazione della finanziaria e prima della pausa estiva, prevista per il prossimo 29 luglio. "E' un bel segnale - dice il democratico Ferrandelli - che arriva alla vigilia dell'anniversario della morte di Rita Atria. Un gesto concreto, la dimostrazione di un'antimafia non parolaia. La Sicilia sarà la prima regione d'Italia a farlo. E' importante - conclude - chiarire che i testimoni di giustizia non sono né pentiti né vittime, ma persone che hanno deciso da che parte stare".

"Con questa norma - spiega Cutrò, imprenditore della provincia di Agrigento e presidente dell'associazione nazionale testimoni di giustizia - si sostiene un principio: chi denuncia la mafia non può essere abbandonato dallo Stato. Ha il diritto di vivere una vita dignitosa, senza essere deportato come gli ebrei. La lotta a Cosa nostra non può avere colore politico. Mi auguro - conclude - che questo ddl possa essere rapidamente approvato e la Sicilia diventi un esempio per altre Regioni".

Piera Aiello: "Noi fantasmi con una vita stravolta ma rifarei tutto" - Un profondo smarrimento. A distanza di 23 anni da quella scelta che le ha cambiato la vita Piera Aiello, la prima testimone di giustizia donna d'Italia, ricorda bene la sensazione provata, trovandosi a Roma poco più che ragazzina con una bimba di tre anni. Il salto dalla sua Partanna, piccola cittadina del trapanese, alla grande metropoli non se lo aspettava. "Pensavo di andare dai carabinieri a denunciare quello che sapevo e tornare a casa alla mia vita di sempre, al mio lavoro in pizzeria" racconta all'Adnkronos.

Piera, una dei testimoni di giustizia ricevuti all'Ars, racconta che lei non voleva certo fare la vedova di mafia. Voleva giustizia per il marito morto ammazzato, ucciso sotto i suoi occhi, prima ancora per il suocero. Uomini d'onore, uccisi in piena guerra di mafia. Ma soprattutto per tutte le vittime di Cosa nostra. "A Partanna - spiega - da 20 anni si ammazzava, tutti sapevano e nessuno parlava. Allora ho deciso di dire basta". La decisione di schierarsi apertamente dalla parte dello Stato lei l'ha presa nel 1991. "Neanche sapevo cosa era un testimone di giustizia" ammette. Dopo di lei è stata la cognata Rita Atria, che si suicidò a soli 17 anni dopo la morte di Borsellino, a farlo. "Voleva vendicarsi per gli omicidi del padre e del fratello, ma poi quella sete di vendetta, quel sentimento di odio si è trasformato in una voglia di giustizia".

A cambiare le loro vite è stata una persona in particolare. Il giudice Paolo Borsellino. "Zio Paolo" lo chiama Piera. "Se oggi dovessi dire cosa manca nella mia vita - racconta - direi che manca lui, un punto di riferimento, un fratello maggiore dal carisma innato".

E' grazie al giudice antimafia ucciso dal tritolo di Cosa nostra nella strage di via D'Amelio che Piera Aiello decide di ribellarsi. "Dopo la mia vita è stata stravolta - ammette - Sono stata rinnegata dal mio parroco, allontanata dai miei familiari, che avevano paura e che posso comprendere. Tutti mi hanno lasciato sola ad eccezione dei miei genitori". La vita lontana da Partanna è difficile. "A Roma pensavo sempre di perdermi e alla fine i carabinieri sono diventati la mia nuova famiglia". La cosa più terribile? "Perdere gli affetti, ritrovarmi sola". Eppure tornando indietro Piera non avrebbe tentennamenti. "Rifarei tutto quello che ho fatto" assicura.

Dallo Stato non si sente abbandonata, anche se, ammette, "ci sono funzionari poco attenti. I politici, di destra e di sinistra, ci considerano delle ombre, fantasmi. Mentre l'aspetto umano per una persona che è stata sradicata dalla sua terra è importante. Alle volte basterebbe una telefonata, un po' di cuore in più e meno cavilli burocratici". Nel 1996 Piera Aiello ha rinunciato al trattamento economico previsto nel programma di protezione. "Volevo lavorare e non vegetare. Riappropriarmi della mia vita, invece di morire poco a poco". E proprio della sua esistenza ha fatto una missione. "Vado nelle scuole e parlo con i giovani di legalità. Molto è cambiato in questi vent'anni". Ma una cosa ancora la "ferisce". "Scoprire come di tanti processi, come quello sulle stragi, non si vede mai la fine. Sembra di essere davanti a un muro di gomma. Invece le Istituzioni dovrebbero sapere da che parte stare". Sempre e senza tentennamenti.

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