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'Ndrangheta, riciclavano denaro per le cosche arrestati 13 imprenditori

21 ottobre 2014 | 08.48
LETTURA: 3 minuti

Sequestrate 23 società e beni per un valore complessivo di circa 56 milioni di euro. I componenti dell'organizzazione sono accusati anche di contrabbando di gasolio e merce contraffatta e frode fiscale attraverso l'utilizzo ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Inquirenti: "Un nuovo modo di fare mafia"

 - INFOPHOTO
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Un'associazione di stampo mafioso composta da imprenditori affiliati alle più importanti cosche di ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro è stata sgominata dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabra.

Tredici gli arresti, sequestrate 23 società e beni per un valore complessivo di circa 56 milioni di euro ed effettuate oltre 50 perquisizioni tra Calabria, Veneto, Lombardia.

I reati contestati sono associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio di proventi di illecita provenienza, trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, frode fiscale, attraverso l'utilizzo ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, tutti aggravati dalle modalità mafiose.

''L'indagine portata a termine dalle Fiamme Gialle reggine - sottolineano gli inquirenti - denota, ancora una volta, un moderno quadro dell'imprenditoria 'ndranghetista e un nuovo modo di fare mafia dove, non creando allarmismi sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica, si creano vincoli di affiliazione derivante da un'unica matrice: il denaro e l'ingiusto arricchimento. Tutto questo con una totale trasposizione delle consuetudinarie modalità mafiose nel mondo dell'imprenditoria e dell'economia legale falsando il libero mercato e la leale concorrenza tra imprese''.

Con queste parole gli inquirenti della Procura distrettuale antimafia descrivono la portata dell'operazione Porto Franco che ha consentito di fare luce sull'asfissiante pressione delle cosche Pesce e Molè nel settore terziario del porto di Gioia Tauro.

I magistrati spiegano che ''il condizionamento dei settori più produttivi dell'economia locale, prima affidato solo ai proventi delle estorsioni a tappeto, si è trasformato, giovandosi del processo di modificazione delle locali famiglie di 'ndrangheta, che hanno acquisito una vocazione direttamente imprenditoriale e che operano trasversalmente, quasi sempre dietro il paravento di prestanome, direttamente nei singoli settori economici infiltrati''.

''La cosca Pesce - spiegano i magistrati - si è infiltrata nel tessuto economico caratterizzato dai servizi connessi all'imponente operatività del porto di Gioia Tauro, che oltre a costituire una delle porte di ingresso in Europa rappresenta uno snodo cruciale dell'economia calabrese, ed esercita tuttora un soffocante controllo sulle attività economiche presenti nella zona portuale, dirette ad assicurare all'organizzazione, in ultima analisi, ingenti risorse finanziarie, mirando poi a ripulire i proventi dei reati consumati, grazie anche all'ausilio di soggetti estranei''.

L'indagine, svolta dalla Guardia di finanza, ha fatto luce su un ''ingegnoso e asfissiante'' sistema di controllo dei servizi connessi alle operazioni di import-export e di trasporto merci per conto terzi realizzato dalle cosche di 'ndrangheta nel porto di Gioia Tauro. Gli emissari imponevano l'obbligo di contrattare esclusivamente con i punti di riferimento della malavita, facendo leva sulla loro forza di intimidazione. Successivamente il ruolo delle aziende, e quindi dei rispettivi rappresentanti legali, è stato quello di crearsi disponibilità di risorse liquide, attraverso la contabilizzazione e l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, da corrispondere agli elementi di spicco delle cosche Pesce e Molè.

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