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Caso Yara, Bossetti: "In carcere mi chiamano l'ammazza bambini"

02 marzo 2015 | 15.02
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In una lettera alla moglie racconta gli epiteti degli altri detenuti: "Mi sento tanto solo, solo contro tutti". Nelle 60mila pagine depositate dall'accusa tutte le bugie e le incongruenze del suo racconto. Chiusa l'inchiesta, per il muratore 44enne accusa formale di omicidio volontario aggravato e calunnia

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti
Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Le intercettazioni 'rubate' dietro le sbarre del carcere di Bergamo, dove dal 16 giugno scorso è rinchiuso Massimo Bossetti restituiscono il quadro di un uomo che continua a dirsi innocente ma che a tratti 'corregge', 'rimodula' 'ripensa' ad alcuni dettagli e piange più volte la propria estraneità a un delitto che gli ha rovinato la vita: "mi hanno portato via tutto...tre quarti della mia vita me l'hanno portata via qua dentro, non ho commesso niente, mai fatto niente". E scrive alla moglie: "mi sento tanto solo, solo contro tutti". Il 44enne muratore è in carcere per l'omicidio di Yara Gambirasio. /Le immagini del furgone di Bossetti

Se per gli altri detenuti' Bossetti è l'"ammazza bambini" (così scrive in una missiva alla moglie Marita Comi, ndr), il 44enne muratore continua a dirsi innocente: non è lui, dice, l'assassino, di Yara Gambirasio. "Non ho mai ucciso nemmeno un animale...mai...poteva esser nostra figlia" dice rivolgendosi alla moglie il 3 luglio scorso, nel corso del loro secondo incontro in carcere. Con la chiusura delle indagini che riempie quasi 60mila pagine è scandagliata l'intera vita di Bossetti, le sue giornate ripetitive, la sua propensione alle bugie - tanto che alcuni colleghi lo chiamavano 'il favola' - tutto passato al setaccio: tabulati telefonici, intercettazioni, analisi di computer, scontrini fiscali per cercare un buco nell'alibi e un possibile movente.

La moglie non ricorda esattamente gli spostamenti di sera del 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara, e non è pronta a mentire. "Siamo sempre a casa alla sera. Guarda che loro mi hanno chiesto un’ora, l’ora non mi ricordo Massi, non posso dirgli un’ora che non mi ricordo, capisci? È per quello che non mi sento di dire bugie, Massi, devo dire solo la verità… basta! La dico io e la devi dire anche tu, hai capito? Basta".

Una settimana più tardi, Marita gli fa presente come in casa avessero sequestrato un coltello e dei taglierini e lei gli dice di aver trovato tre coltellini in una scatola rossa e di averli in una borsa. E lui: "Buttali, buttali…capito? Buttali via". L'analisi su quanto sequestrato a casa Bossetti non ha fornito elementi utili alle indagini, così come il traffico telefonico dei giorni prima e dopo la scomparsa di Yara.

La moglie gli fa presente alcune incongruenze quando l’uomo sostiene che a un certo orario del 26 novembre 2010 il suo telefono era scarico: "Sono sicuro - dice Bossetti - che il telefono era scarico… ho cercato di accenderlo quando ho visto Massi che girava intorno all’edicola". E la replica della donna è dura: "Ti ricordi che eri lì! Vedi? Come fai a ricordarti che è quel giorno lì che hai salutato Massi? Vuol dire che ti ricordi quel giorno lì di novembre".

E sulle immagini che mostrerebbero il furgone di Bossetti vicino alla palestra di Brembate Sopra, Marita aggiunge "Cosa ci facevi allora a Brembate alle sei? Non puoi girare lì per tre quarti d’ora, a meno che non aspettavi qualcuno". Ma contro l'imputato ci sono anche le analisi del suo pc con cui sarebbero state fatte alcune ricerche con le parole chiavi 'tredicenne' e 'sesso', ma anche avrebbero restituito anche immagini di "ragazze di giovane età mentre eseguono esercizi di danza".

Ma c'è una cosa su cui, per primo Bossetti, non riesce a fornire una risposta: la presenza del suo Dna sugli slip e sui leggings della vittima. "Se sono certi è un guaio…il mio Dna è sul…basta…la mia fregata è quello!". Tra i dati successivi alla scomparsa di Yara spunta un prelievo di 250 euro fatto da Bossetti al Credito Valtellinese di Brembate Sopra, in via Rampinelli, vicino alla casa di Yara: l’unico suo prelievo fatto in quel comune tra l'1 settembre 2010 e il 30 aprile 2011.

"Non si esclude - spiegano gli inquirenti - che Bossetti avesse deciso di recarsi in quella zona utilizzando quale giustificazione il prelievo bancomat, ma con il fine di verificare di persona le eventuali indiscrezioni sulle indagini in corso". Tra i dubbi di un'inchiesta durata più di quattro anni resta anche il mistero del metro cubo di sabbia acquistata alla Edil Bonacina di Chignolo d’Isola il 9 dicembre 2010. Il 44enne muratore dirà di averlo acquistato per il cognato, ma sarà smentito due volte proprio dal marito della sorella. Un mistero capire a cosa sia servito: sul corpo della vittima non ci sono tracce di sabbia.

"L'unica spiegazione - evidenziano gli investigatori - plausibile rimane la volontà di precostituirsi una sorta di salvacondotto per potersi aggirare nella zona del campo, forse spintovi dalla volontà di verificare le condizioni in cui era rimasto il cadavere".

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