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Cassazione: patologia social network, minori a rischio sul web

26 aprile 2015 | 13.54
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Piazza Cavour mette in guardia. "Oggi lo strumento telematico è diventato di uso comune anche per i minori". Ed è proprio in questo caso, riflettono gli 'ermellini', che la guardia non va abbassata

(Infophoto)
(Infophoto)

I social network, in molti casi, hanno sostituito "patologicamente" le tradizionali forme di socializzazione con cui si allacciavano rapporti interpersonali. L'allarme arriva dai giudici della Cassazione che, in una sentenza della Terza sezione penale, mettono nero su bianco tutta la loro preoccupazione: "Oggi - si legge nella sentenza redatta da Vincenzo Pezzella - lo strumento telematico è diventato di uso comune anche per i minori". Ed è proprio in questo caso, riflettono gli 'ermellini', che la guardia non va abbassata.

"Si usa il computer, il tablet, lo smartphone, per raggiungere gli amici, ma anche per studiare, per giocare, per tenersi informati. I social network, - denunciano i supremi giudici - che piaccia o no, costituiscono una forma di socializzazione che si è affiancata, quando non li ha patologicamente sostituiti, ai tradizionali strumenti con cui si allacciavano e si intrattenevano i rapporti interpersonali". Da qui la necessità di non considerare meno gravi abusi o atti sessuali, pure virtuali, sui minorenni.

la sentenza, violenza che arriva dal pc può essere più pericolosa di quella a scuola o per strada

"La violenza che arriva attraverso il computer, raggiungendo, ad esempio, il bambino all'ora in cui è nella propria stanza a giocare con gli amichetti, può essere anche più subdola e pericolosa di quella cui può essere esposto a scuola, in palestra, per strada o tra la gente. In tali ultimi casi, infatti, - analizza la Suprema Corte - un bambino è sottoposto ad una vigilanza e ad una protezione familiare e sociale che inevitabilmente, invece, si allenta - e può intervenire, come nei casi che ci occupano, solo successivamente ai fatti in un ambito di controllo 'ex post' dell'operato dei figli - quando il minore è nel chiuso della sua stanza, apparentemente al sicuro dalle insidie degli estranei". Ecco che allora, osservano i giudici della Terza sezione penale, "la violenza o gli atti sessuali virtuali con minorenni non sono necessariamente caratterizzati da una minore gravità rispetto a quelli reali".

Ad indurre la Suprema Corte a lanciare l' allarme nei confronti dell'abuso dei social network, il ricorso di un ultracinquantenne campano accusato di assi sessuali con una minorenne di nove anni mediante l'utilizzo di social network e web cam e collegamento in videochiamata. Le accuse riguardavano anche una serie di atti sessuali, realizzati con le stesse modalità virtuali, con una undicenne. La Corte d'appello di Napoli, nel giugno 2014, aveva condannato l'uomo a nove anni di reclusione (in primo grado era stato condannato a dodici).

Quanto al caso speicifico, la Cassazione ha rigettato quasi interamente il ricorso presentato dalla difesa dell'uomo, fatta eccezione per un capo di imputazione (l'accusa di prostituzione minorile) per cui la Corte d'appello di Napoli dovrà rideterminare la pena inflitta all'ultracinquantenne in relazione al reato in questione.

In proposito, piazza Cavour fa presente che "come lamentato, la condotta posta in essere attraverso il pagamento di ricariche telefoniche, induceva una ragazza di 15 anni ad inviargli foto in abiti succinti e video osè, appare integrare l'ipotesi di reato prevista dal secondo e non dal primo comma dell'art. 600 bis".

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