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Migranti: L'odissea di Umar, scappato dalla guerra con i due fratellini

26 ottobre 2015 | 10.54
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Umar Oman nel 2011 scappò dalla guerra
Umar Oman nel 2011 scappò dalla guerra

"Guardo quelle immagini in tv di migliaia di ragazzi, giovanissimi, miei coetanei, che camminano per settimane, sfidano il freddo e il gelo, per tentare di raggiungere l'Europa e rivedo me. Non hai altra scelta, questa è la verità. Lasci ala tua terra per salvare te e la tua famiglia..". Umar Noman è un ragazzo pakistano di 20 anni. Nel 2011 viveva in Libia, con tutta la sua famiglia. Padre, madre e tre figli, il più piccolo dei quali aveva 12 anni. Una famiglia normale. Abitavano in una bella casa. Il padre lavorava e la madre accudiva i figli. Poi, un giorno, all'improvviso, tutto cambiò. Come racconta oggi lo stesso Umar all'Adnkronos. Si emoziona spesso e gli occhi si inumidiscono. Ma si sforza a parlare e a raccontare la sua vicenda.

"Ai primi di maggio del 2011 - ricorda - mia madre si trovava in Pakistan a trovare i suoi familiari e mio padre doveva andare a prenderla. Io e i miei fratelli rimanemmo a casa. Una notte fummo svegliati da un rumore assordante e dal fuoco che da lì a pochi minuti avrebbe divorato la nostra casa. Fummo bombardati. Io e i miei fratelli scappammo via in pochi istanti con quello che indossavamo e null'altro. Il pavimento era bollente, l'aria irrespirabile. Da lontano guardavamo casa nostra che bruciava. Ci colpivano i colori di quel fuoco, sembravano i fuochi d'artificio. Ma dopo pochi minuti ci guardammo negli occhi e capimmo che da quel momento nulla sarebbe stato più lo stesso". Con i suoi fratellini di 12 e 17 anni, Umar, scappò via, grazie all'aiuto di un amico del padre che era venuto dopo il bombardamento. "Eravamo soli, senza documenti, con i soli vestiti addosso della fuga - ricorda con emozione - Abbiamo visto che molta gente scappava dalla Libia a bordo di imbarcazioni e così faccemmo anche noi. Così ci siamo trovati a bordo di un barcone con i miei fratelli. Dopo due giorni approdammo a Lampedusa. Ma non sapevamo dove fossimo, c'era chi diceva che era la Tunisia, chi la Libia. Eravamo confusi, spaventati. Ma contenti di essere insieme con i miei fratelli".

Umar e i suoi fratelli restarono a Lampedusa solo per pochi giorni, perché erano tutti minorenni. Furino portati in una comunità alloggio di Pian del Lago, in provincia di Caltanissetta. Da lì, un altro trasferimento, alla comunità alloggio per minori di Termini Imerese, nel palermitano.

Oggi il giovane frequenta l'ultimo anno dell'Istituto Stenio di Termini Imerese

Passano gli anni e Umar e i suoi fratelli imparano la lingua italiana. Frequentano la scuola. Nel frattempo, sono riusciti ad avere un contatto con i genitori. Ma loro sono rimasti in Libia, impossibilitati a lasciare quel paese. Inizia così una lunga trafila burocratica per avere il permesso di soggiorno. "Era un problema gravissimo - dice ancora Umar - Non potevo lasciare Termini Imerese senza documenti di identitià. Perché per avere il permesso di soggiorno dovevo andare all'ambasciata del Pakistan a Roma. Ma per raggiungere Roma avevo bisogno del permesso di soggiorno, altrimenti avrei rischiato l'espulsione. Insomma, il cane che si morde la coda. Alla fine, solo grazie all'insistenza di una tutrice della comunità alloggio, dopo un lungo via vai dalla Questura di Palermo, si trova una soluzione 'tampone'. Un permesso di soggiorno di 24 ore "per permetermi di raggiungere l'ambasciata a Roma", racconta Umar. Ma i guai non sono finiti. all'Ambasciata sbagliano il cognome di Umar e inizia un'altra trafila burocratica.

Oggi Umar frequenta l'ultimo anno dell'Istituto tecnico Stenio di Termini Imerese. Nei giorni scorsi, Umar ha raccontato la sua vicenda a Petralia Sottana (Palermo), nel cuore delle Madonie, alla due giorni sugli immigrati organizzata dal Comune e dall'Ordine degli avvocati di Termini Imerese. In un Cine Teatro Grifeo molto affollato da studenti, ha ripercorso la sua vicenda personale, con accanto la sua docente, Giusi Conti, Responsabile Edu Gruppo Italia 266 di Amnesty International.

Umar collabora con Amnesty International. "Voglio dare una mano d'aiuto a quei profughi che oggi sono in difficoltà - racconta - lo stesso aiuto che ho avuto io". Io fratello maggiore oggi fa il mediatore culturale a Caltanissetta mentre quello più piccolo va a scuola. Umar e i suoi fratelli hanno anche rivisto un anno fa i genitori. Ma in Pakistan. "E' stato un viaggio difficile - racconta - ma ce l'abbiamo fatta. Siamo stati insieme per una settimana. E' stato molto bello". Ma il suo futuro è in Europa. Dopo la maturità gli piacerebbe andare a studiare in Inghilterra. "Vedremo cosa mi riserva il futuro...", dice con un sorriso. "Intanto resto in Sicilia ad autare gli altri". "Ecco perché divento triste quando vedo quelle immagini in tv - conclude - rivedo me i miei fratelli. E quando vedo quei muri costruiti per impedire ai profughi di passare mi arrabbio. I muri vanno abbattuti e non costruiti".

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