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Uccisa dalla figlia 17enne, la psicologa: "Per i giovani rimanere senza il telefonino è come vivere a metà"

29 ottobre 2015 | 18.26
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Uccisa dalla figlia 17enne, la psicologa:

"I ragazzi oggi sono incapaci di gestire e vivere le frustrazioni. Rimanere senza il telefonino è come vivere a metà, e per alcuni di loro è un limite insopportabile". Lo afferma Paola Vinciguerra, psicologa, psicoterapeuta presidente Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico) e responsabile comunicazione Emdr Italia, intervenendo sul delitto di Melito Porto Salvo, per il quale è stata arrestata una ragazza di 17 anni, figlia della vittima che sarebbe stata uccisa perché aveva vietato alla giovane l'uso di telefonino e computer.

"L'utilizzo di queste tecnologie in modo incontrollato da parte degli adolescenti è ormai un fenomeno quotidiano difficile da conoscere fino in fondo e da contenere, attraverso un serio e costruttivo intervento educativo - prosegue Vinciguerra - Viviamo ormai pressoché tutti di tecnologia, ma il ricorso che vi fanno gli adolescenti, in particolare l'utilizzo dei social network allo scopo di sentirsi parte di una comunità di persone, di avere un'identità sociale, di essere all'altezza del gruppo dei pari e non piuttosto esclusi da esso, fa sì che la dimensione emotiva legata a tali strumenti tecnologici assuma dimensioni deformate. In questo modo i giovani non riescono a mettere le diverse dimensioni della vita reale, tra cui quella familiare e quella scolastica, nella giusta prospettiva".

Il divieto dell'utilizzo di questi strumenti, "se da un lato diventa quindi la scelta estrema delle famiglie che si sentono impotenti di fronte all'utilizzo alienante che ne fanno i figli, dall'altro è vissuto dai giovani, che sempre più spesso soffrono di una vera e propria dipendenza da Internet e dai social network, come una sorta di attacco alla loro identità, come un limite insopportabile - prosegue l'esperta - L'assenza di una adeguata capacità di gestire le frustrazioni e le emozioni fa poi il resto, generando reazioni scomposte, aggressive e purtroppo a volte anche fatali".

Secondo la psicoterapeuta "la riflessione a cui ci porta questo fenomeno è, per le famiglie, quella di non abdicare ai propri ruoli educativi, imparando a mettere sì dei limiti, ma promuovendo il dialogo affinché di tali limiti si comprenda e condivida il senso. Utilizzare quindi la maturità e l'autorevolezza genitoriale piuttosto che l'autorità netta e drastica, favorendo l'ascolto e il dialogo all'interno della famiglia e un continuo e serio confronto genitori-scuola".

Bisogna costruire "un confronto che eviti drammi per un brutto voto e sia orientato a costruire concretamente la maturazione, il benessere e il futuro del giovane, piuttosto che a colpevolizzare in modo acritico ora gli insegnanti, ora il ragazzo. E' dall'assenza di questi elementi che i giovani, privi di punti di riferimento stabili e autorevoli, crescono con una identità fragile e capricciosa che si trasforma poi in aggressività scomposta", conclude la psicoterapeuta.

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