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Mafia capitale, alla sbarra il 're' del mondo di mezzo

04 novembre 2015 | 19.18
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Al via il processo. Carminati 'Er cecato' è considerato il capo della cupola romana, accanto a lui il ras delle coop Buzzi che gestisce le attività economiche

Mafia capitale, alla sbarra il 're' del mondo di mezzo

L'ex Nar Massimo Carminati e il ras delle cooperative rosse Salvatore Buzzi. Ma anche Luca Odevaine, l'uomo nelle istituzioni che garantiva il business dei rifugiati, da ieri ai domiciliari. Sono loro i principali protagonisti del maxi processo di 'Mafia capitale', l'associazione a delinquere di stampo mafioso, scoperchiata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone nelle due retate del 2 dicembre 2014 e del 4 giugno 2015. L'appuntamento è per domani nell'aula Occorsio del Tribunale di Roma, a piazzale Clodio. Ma le prossime udienze, già programmate fino a fine luglio, si terranno nell'aula bunker di Rebibbia. Alla sbarra 46 imputati, con accuse che vanno dal l'associazione a delinquere di stampo mafioso alla corruzione, ma anche estorsione, usura e riciclaggio, turbativa d'asta e false fatturazioni.

Massimo Carminati - Dai Nuclei Armati Rivoluzionari degli anni '70, passando per la Banda della Magliana fino a Mafia capitale. Massimo Carminati, 57 anni, milanese di nascita, è il ''capo dell’associazione di stampo mafioso operante su Roma e sul Lazio'', scoperchiata dalla Procura guidata da Giuseppe Pignatone.

''Sovrintende e coordina tutte le attività'' del clan – si legge nelle carte dell’accusa - impartisce direttive agli altri partecipi, fornisce loro schede dedicate per le comunicazioni riservate, individua e recluta imprenditori, ai quali fornisce protezione, mantiene i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali operanti su Roma nonché con esponenti del mondo politico, istituzionale, finanziario, con appartenenti alle forze dell'ordine e ai servizi segreti''.

'Er Cecato' o il 'Guercio', per via di quell’occhio sinistro perso per un colpo sparato da un poliziotto nel 1981 al Valico del Gaggiolo, è una figura leggendaria. A lui si ispira il 'Nero' di 'Romanzo criminale' di Giancarlo De Cataldo, sul grande schermo interpretato da Riccardo Scamarcio e da Emiliano Coltorti nella fiction, ma anche il 'Samurai' di 'Suburra' scritto da De Cataldo e Carlo Bonini nel 2012 e uscito nel 2013, un anno prima della grande retata del 2 dicembre 2014.

E’ il re del 'Mondo di Mezzo', copyright dello stesso Carminati. La teoria che dà il nome all’operazione del Ros e che, per Pignatone, rappresenta ''l’intercettazione più significativa''. ''Ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo – spiega il 'Nero' al suo braccio militare Riccardo Brugia - C'è un mondo in cui tutti si incontrano, il mondo di mezzo è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con un politico...''. ''Carminati parla col 'mondo di sopra', quello della politica e col 'mondo di sotto', quello criminale, e si mette al servizio del primo avvalendosi del secondo. – dice il procuratore capo di Roma - La caratteristica principale di questa organizzazione sta nei suoi rapporti con la politica e nel fatto che alterna la corruzione alla violenza, preferendo la prima perché fa meno clamore".

Da Milano arriva a Roma, con la famiglia, da ragazzino. Fuan, Avanguardia nazionale, i Nar di Valerio Fioravanti segnano i suoi vent’anni. ''A quattordici anni avevo la pistola, una 7,65, 20.000 lire la pagai... Ci andavo a scuola con la pistola..’’, si vanta con un giovane dell’estrema destra di oggi. Uno che ''non voleva porsi limiti nella sua vita spericolata – racconta Giusva - pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura".

Dopo gli anni di piombo, la fuga in Libano. Poi ancora Roma, con la Banda della Magliana. ''Ero amico del ‘Negro’, il capo, l’unico vero che c’è mai stato nella banda – dice, intercettato – Con lui un grande rapporto di amicizia e conoscevo tutti l’altri. Quando lo hanno ammazzato, sono rimasto dispiaciuto. Ho avuto, diciamo, una sorta di rapporti con tutti 'sti cialtroni''.

Nella sua carriera criminale c’è posto anche per le accuse nell’omicidio di Mino Pecorelli (assolto) e per il furto al caveau della Banca di Roma del luglio 1999, operazione messa a segno all’interno del Palazzo di Giustizia di piazzale Clodio, di cui è ritenuto la mente. Colleziona arresti e condanne ma grazie a tre indulti, quando il 2 dicembre viene bloccato su una stradina di campagna di Sacrofano, a due passi dalla villa dove abita, Carminati scende dalla smart grigia, con le mani alzate, da uomo senza conti in sospeso con la giustizia.

E’ uno dei ''quattro re di Roma''. Anzi ''l’ultimo re di Roma'', secondo la definizione di Lirio Abbate che sull’Espresso, già a dicembre 2012, racconta come il suo nome ''viene sussurrato con paura in tutta l’area del grande raccordo anulare'', "arbitro di vita e morte, di traffici sulla strada e accordi negli attici dei Parioli. L'unica autorità in grado di guardare dall'alto quello che accade nella Capitale".

Esattamente due anni prima dell’operazione ‘Mafia capitale’, il settimanale racconta come Carminati, insieme a Michele Senese, i fratelli Fasciani e i Casamonica si siano spartiti la città, dove nessuno, mafia camorra o 'ndrangheta che sia, osa fare alcunché senza avere prima chiesto a loro l’autorizzazione, con percentuale inclusa. In ballo il mercato della cocaina che ''viene spacciata in quantità tripla rispetto a Milano''.

Controllo del territorio e limitato uso della violenza per gestire con tranquillità il business della droga, dunque. Anzi un vero e proprio 'patto' all’insegna del 'niente più omicidi di mafia nella capitale', racconta il giornalista, siglato dai boss, appena saputo dell’arrivo a Roma del nuovo procuratore Pignatone. Uno di cui Carminati ha paura. ''Quello non gioca - dice captato dalle cimici - Butterà all'aria Roma. In Calabria ha cappottato tutto... non si fa inglobà dalla politica".

Dai rifiuti ai profughi, Buzzi è il capo economico della cupola romana e paga politici corrotti, 'se vuoi mungere la mucca, la mucca deve mangiare'

Romano, 60 anni il prossimo 15 novembre, Salvatore Buzzi è con l’ex Nar Massimo Carminati ai vertici di Mafia Capitale secondo l’accusa. Il Rosso e il Nero della cupola romana. Una associazione che agisce con ''metodo mafioso'', per il procuratore capo Giuseppe Pignatone, usando ''la violenza come metodo di intimidazione, per creare assoggettamento e omertà, come previsto dal 416 bis'': il ''capo è Carminati, Riccardo Brugia quello militare e Buzzi quello economico’’.

Dalla raccolta e smaltimento dei rifiuti all’accoglienza dei profughi fino alla manutenzione del verde pubblico, il ras della coop '29 giugno' secondo la procura ha le mani su gare e appalti pubblici di Roma. E paga politici e funzionari corrotti. Tutto registrato, nomi cognomi e importo, nel 'libro nero' della contabilità parallela, nascosto a casa delle segretaria. ‘Stipendi’ che vanno dai 1.500 ai diecimila al mese, racconta Buzzi intercettato dal Ros, ''ma rientra tutto, noi quest’anno abbiamo chiuso con 40 milioni di fatturato. Gli utili li abbiamo fatti sugli zingari, con l’emergenza alloggi, sugli immigrati", dice. ''Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende di meno''.

Nel quadro che fa di lui la procura, Buzzi appare spregiudicato, traffichino e capace di monetizzare la credibilità costruita negli anni sul terreno delle cooperazione sociale. Lui che in carcere c’è stato per anni, con una condanna per omicidio volontario. Dare una chance di vita, di reinserimento lavorativo a chi è stato dietro le sbarre. La ’29 giugno’ nasce così, a Rebibbia nel 1985, dalla data di uno storico convegno sul lavoro in carcere tenutosi nel penitenziario romano che aveva Buzzi, nel frattempo laureatosi con 110 e lode, tra i relatori e ha nel suo atto fondativo le firme di una figura come Don Di Liegro, allora a capo della Caritas Diocesana, e di un'intellettuale come Laura Lombardo Radice, moglie di Pietro Ingrao. Da 'Rebibbia 29 giugno' diventerà, dopo qualche anno, solo '29 giugno' e per tutti sarà il fiore all'occhiello nel settore della cooperazione sociale.

Un ''personaggio dalle indubbie capacità imprenditoriali, ma dalla totale assenza di scrupoli'', scrivono i giudici del Riesame, che ‘’si dedica al crimine in maniera davvero infaticabile'', riuscendo a trasformare la '29 giugno onlus' in un "gruppo di indiscutibile potenza", scrive il gip, che fa il grande salto sotto la giunta Alemanno fino a consolidare un fatturato di 60 milioni. Risale solo al Capodanno del 2013 l’sms della vergogna, inviato al dirigente Angelo Scozzafava, che fa a pezzi la credibilità del terzo settore. ''Speriamo che il 2013 sia in anno pieno di monnezza, profughi, immigrati, sfollati, minori, piovoso così cresce l’erba da tagliare e magari con qualche bufera di neve: evviva la cooperazione sociale''.

Destra, sinistra, politici di ogni colore: a quanto emerge dagli atti della procura, Buzzi &Co pagano tutti e al consiglio comunale di Roma il 'compagno B.' è di casa. "Me li sto' a comprà tutti. Semo diventati grossi", dice captato dalle cimici del Ros. E ora ‘’giocano con me’’ e ''devono sta' ai nostri ordini''. La metafora della mucca non permette fraintendimenti. ''Se vuoi mungere la mucca, la mucca deve mangiare – dice Buzzi a più riprese - E l'avete munta tanto. Tanto...".

Da ex vicecapo di gabinetto Veltroni al Tavolo del Viminale per i Cara, 'stipendiato' da coop rosse di Buzzi e da quelle bianche de La Cascina per orientare i flussi immigrati

Romano, 59 anni compiuti a ottobre, Luca Odevaine finisce agli arresti con l’accusa di corruzione già nella prima retata del 2 dicembre di Mafia capitale. Secondo gli inquirenti è l’uomo del business dei rifugiati, che grazie al suo ruolo al Tavolo di Coordinamento nazionale sull'accoglienza per i richiedenti asilo riesce a ''orientare'' i flussi degli immigrati, dando così ''parecchio lavoro'' alle imprese amiche. In cambio mazzette: 5mila euro al mese dalle coop rosse di Buzzi & co, 20mila da quelle bianche de La Cascina. E un vero e proprio tariffario sull’immigrato. E’ targato Odevaine quel ''facciamo un euro a profugo'', svelato nelle intercettazioni del Ros. ''Se me dai cento persone facciamo un euro a persona.. . Non lo so, per dire: hai capito? Ti metto 200 persone a Roma, 200 a Messina, 50 là, e le quantifichiamo".

Una carriera politica da insospettabile quella di Luca Odevaine. Formazione in Legambiente, vicecapo di gabinetto dell’ex sindaco Walter Veltroni, poi del commissario Morcone, ex capo della polizia provinciale di Roma con Nicola Zingaretti fino al salto al Tavolo di Coordinamento nazionale sull'accoglienza per i richiedenti asilo del Ministero dell’Interno. Un ruolo che gli permette di mettere a punto il 'sistema Odevaine', come lo ha ribattezzato la Procura. Pilotare, dal tavolo sui profughi, i flussi degli immigrati nei vari centri sparsi in Italia, gestiti da quelle imprese amiche che si dividono il mercato. Da una parte quelle di Buzzi, dall’altra quelle de La Cascina, la cooperativa vicina a Comunione e Liberazione da cui avrebbe intascato 20mila euro al mese per favorirla nell’emergenza profughi. Capitolo, quest’ultimo, al centro di 'Mafia capitale 2' (retata del 4 giugno 2015) che punta i riflettori anche sulla gara per la gestione del Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Mineo, in Sicilia.

Stimato da tutti, capace, infaticabile. Dall’organizzazione dei funerali di papa Wojtyla alle operazioni contro l’abusivismo al Celio come a Tor di Nona. 'Sceriffo' della legalità, lo chiamavano negli anni dell'era Veltroni. Uno sgombero da fare, un abuso da abbattere. Odevaine era in prima fila. Un funzionario insomma su cui mettere la mano sul fuoco. Per chi lo ha conosciuto e ci ha lavorato, è uno ''choc angoscioso e sconcertante'', scrive Veltroni in una lettera a 'Repubblica' a pochi giorni dall’arresto. ''Sono passati sette anni da quando Luca Odevaine ha cessato il suo lavoro al Campidoglio – ricorda l’ex sindaco di Roma - Se i sette anni successivi hanno fatto un'altra persona o se in quegli anni stessi ce ne era un’altra, nessuno di noi lo ha mai percepito''.

Odevaine era a libro paga del clan di Carminati &co, secondo l’accusa. Mazzette che preferiva incassare sui conti correnti bancari intestati a parenti, dall'ex moglie venezuelana al figlio. Nel 'libro nero' di Salvatore Buzzi, quello con i nomi e cognomi dei politici 'stipendiati', Luca Odevaine è a quota 5mila euro al mese. Cifra snocciolata anche nelle intercettazioni dal ras delle cooperative rosse. ''A Luca do 5000 euro al mese a un altro che mi tiene i rapporti al comune 1500...a un assessore 10mila euro al mese... ogni mese...ma rientra tutto.. noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di fatturato... gli utili li abbiamo fatti sugli zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati".

Odevaine ammette di aver ricevuto soldi da Buzzi. Un compenso, spiega nel corso di dichiarazioni spontanee, per il ruolo di ''facilitatore" che svolgeva per lui. Lo aiutava a risolvere problemi. In poche parole un semplice emulo del Mr Wolf di Quentin Tarantino. O, come scrivono i magistrati, un ''signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell’emergenza immigrati'' e che ha ''venduto'' la sua funzione di pubblico ufficiale al Tavolo di coordinamento per i Cara del Viminale.

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