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Massimo Carminati il 're' del 'Mondo di mezzo'

05 novembre 2015 | 08.13
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Massimo Carminati il 're' del 'Mondo di mezzo'

Dai Nuclei Armati Rivoluzionari degli anni '70, passando per la Banda della Magliana fino a Mafia capitale. Massimo Carminati, 57 anni, milanese di nascita, è il ''capo dell’associazione di stampo mafioso operante su Roma e sul Lazio'', scoperchiata dalla Procura guidata da Giuseppe Pignatone.

''Sovrintende e coordina tutte le attività'' del clan – si legge nelle carte dell’accusa - impartisce direttive agli altri partecipi, fornisce loro schede dedicate per le comunicazioni riservate, individua e recluta imprenditori, ai quali fornisce protezione, mantiene i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali operanti su Roma nonché con esponenti del mondo politico, istituzionale, finanziario, con appartenenti alle forze dell'ordine e ai servizi segreti''.

'Er Cecato' o il 'Guercio', per via di quell’occhio sinistro perso per un colpo sparato da un poliziotto nel 1981 al Valico del Gaggiolo, è una figura leggendaria. A lui si ispira il 'Nero' di 'Romanzo criminale' di Giancarlo De Cataldo, sul grande schermo interpretato da Riccardo Scamarcio e da Emiliano Coltorti nella fiction, ma anche il 'Samurai' di 'Suburra' scritto da De Cataldo e Carlo Bonini nel 2012 e uscito nel 2013, un anno prima della grande retata del 2 dicembre 2014.

E’ il re del 'Mondo di Mezzo', copyright dello stesso Carminati. La teoria che dà il nome all’operazione del Ros e che, per Pignatone, rappresenta ''l’intercettazione più significativa''. ''Ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo – spiega il 'Nero' al suo braccio militare Riccardo Brugia - C'è un mondo in cui tutti si incontrano, il mondo di mezzo è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con un politico...''. ''Carminati parla col 'mondo di sopra', quello della politica e col 'mondo di sotto', quello criminale, e si mette al servizio del primo avvalendosi del secondo – dice il procuratore capo di Roma - La caratteristica principale di questa organizzazione sta nei suoi rapporti con la politica e nel fatto che alterna la corruzione alla violenza, preferendo la prima perché fa meno clamore".

Da Milano arriva a Roma, con la famiglia, da ragazzino. Fuan, Avanguardia nazionale, i Nar di Valerio Fioravanti segnano i suoi vent’anni. ''A quattordici anni avevo la pistola, una 7,65, 20.000 lire la pagai... Ci andavo a scuola con la pistola...’’, si vanta con un giovane dell’estrema destra di oggi. Uno che ''non voleva porsi limiti nella sua vita spericolata – racconta Giusva - pronto a sequestrare, uccidere, rapinare, partecipare a giri di droga, scommesse, usura".

Dopo gli anni di piombo, la fuga in Libano. Poi ancora Roma, con la Banda della Magliana. ''Ero amico del ‘Negro’, il capo, l’unico vero che c’è mai stato nella banda – dice, intercettato – Con lui un grande rapporto di amicizia e conoscevo tutti l’altri. Quando lo hanno ammazzato, sono rimasto dispiaciuto. Ho avuto, diciamo, una sorta di rapporti con tutti 'sti cialtroni''.

Nella sua carriera criminale c’è posto anche per le accuse nell’omicidio di Mino Pecorelli (assolto) e per il furto al caveau della Banca di Roma del luglio 1999, operazione messa a segno all’interno del Palazzo di Giustizia di piazzale Clodio, di cui è ritenuto la mente. Colleziona arresti e condanne ma grazie a tre indulti, quando il 2 dicembre viene bloccato su una stradina di campagna di Sacrofano, a due passi dalla villa dove abita, Carminati scende dalla smart grigia, con le mani alzate, da uomo senza conti in sospeso con la giustizia.

E’ uno dei ''quattro re di Roma''. Anzi ''l’ultimo re di Roma'', secondo la definizione di Lirio Abbate che sull’Espresso, già a dicembre 2012, racconta come il suo nome ''viene sussurrato con paura in tutta l’area del grande raccordo anulare'', "arbitro di vita e morte, di traffici sulla strada e accordi negli attici dei Parioli. L'unica autorità in grado di guardare dall'alto quello che accade nella Capitale".

Esattamente due anni prima dell’operazione ‘Mafia capitale’, il settimanale racconta come Carminati, insieme a Michele Senese, i fratelli Fasciani e i Casamonica si siano spartiti la città, dove nessuno, mafia camorra o 'ndrangheta che sia, osa fare alcunché senza avere prima chiesto a loro l’autorizzazione, con percentuale inclusa. In ballo il mercato della cocaina che ''viene spacciata in quantità tripla rispetto a Milano''.

Controllo del territorio e limitato uso della violenza per gestire con tranquillità il business della droga, dunque. Anzi un vero e proprio 'patto' all’insegna del 'niente più omicidi di mafia nella capitale', racconta il giornalista, siglato dai boss, appena saputo dell’arrivo a Roma del nuovo procuratore Pignatone. Uno di cui Carminati ha paura. ''Quello non gioca - dice captato dalle cimici - Butterà all'aria Roma. In Calabria ha cappottato tutto... non si fa inglobà dalla politica".

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