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Svolta nell'omicidio del giudice Caccia, arrestato uno dei presunti killer

22 dicembre 2015 | 11.04
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Nella foto Bruno Caccia (Da Wikipedia)
Nella foto Bruno Caccia (Da Wikipedia)

Arrestato dagli uomini della Squadra mobile di Torino uno dei presunti esecutori materiali l'assassinio del giudice Bruno Caccia, ammazzato la sera del 26 giugno del 1983. Si tratta di un italiano, Rocco Schirripa, 62enne originario di Reggio Calabria. L'uomo viveva a Torino e faceva il panettiere. Le indagini sono state coordinate dalla procura di Milano.

L'arrestato, trasferito in carcere a Milano, faceva il panettiere in borgata Parella, ma le indagini hanno consentito di trovare collegamenti con Domenico Belfiore, considerato il mandante dell'omicidio che è maturato nell'ambiente della 'ndrangheta. Quando Belfiore esce dal carcere e finisce ai domiciliari (per motivi di salute) è con un escamotage che gli uomini della Squadra mobile riescono a ricostruire il rapporto con Rocco Schirripa, mai entrato nell'inchiesta sul delitto di Caccia, e a scoprire che sarebbe stato proprio lui - quella sera di 32 anni fa - a scendere dalla macchina ed esplodere il colpo fatale contro il procuratore torinese.

E con un 'trucchetto' non tecnologico, ma efficace che gli uomini della squadra mobile di Torino sono riusciti a stringere le manette ai polsi del presunto killer. Un escamotage che gli uomini guidati da Marco Martino hanno potuto mettere a segno solo di recente, quando Belfiore è uscito dal carcere. Solo allora è scattato il 'tranello': sono state spedite alcune lettere anonime a persone della cerchia di Belfiore e al sospettato, ritenuto legato all'omicidio, ma di fatto mai finito tra gli indagati.

Semplice il meccanismo: la fotocopia dell'articolo del giornale 'La Stampa' relativo al coinvolgimento di Belfiore nell'omicidio del procuratore Caccia e sopra la scritta con il nome dell'arrestato. Tanto è bastato perché all'interno del gruppo si scatenasse la paura su chi avesse potuto rivelare quel nome. Le intercettazioni hanno ben impresso le rivelazioni che si sono scambiati i personaggi ritenuti responsabili dell'omicidio avvenuto il 26 giugno 1983. E così che - per gli inquirenti - si riesce a definire il suo ruolo nel delitto: è lui l'uomo che alla guida dell'auto si ferma a pochi passi dall'abitazione della sua vittima e che spara alla testa il colpo definitivo contro il procuratore.

Contro Rocco Schirripa ci sono "intercettazioni fortemente indizianti", dice il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini senza nascondere la soddisfazione per aver aggiunto un altro tassello alla ricostruzione del delitto del 26 giugno 1983 a Torino. Insieme al pm Marcello Tatangelo ha lavorato per arrivare a individuare anche il secondo uomo che sparò contro il procuratore torinese.  Se per quel delitto è già stato condannato Domenico Belfiore, ritenuto il mandante di un omicidio maturato nell'ambiente della 'ndrangheta, con l'arresto di oggi è stato individuato - per gli inquirenti - l'uomo che lo freddò con un colpo alla testa.

Il pm Boccassini sottolinea la "genialità" degli uomini della questura. "Sapevamo che Schirripa era uno degli uomini di Belfiore - sottolineano i magistrati milanesi titolari dell'inchiesta - dopo l'invio delle lettere anonime abbiamo captato, grazie a una tecnologia molto avanzata, delle intercettazioni fortemente indizianti a suo carico. A distanza di oltre 30 anni poter individuare chi ha freddato Caccia è un fatto di estrema soddisfazione". A segnare la svolta è Belfiore che esce dal carcere, è quello "l'elemento essenziale - spiega Pietro Forno, procuratore capo facente funzione - per poter creare il meccanismo di rivelazione indotta".

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