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Mafia: Pignatone, nostro sogno arrestare Provenzano con Brusca e Bagarella

14 gennaio 2016 | 11.27
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Pignatone al processo trattativa
Pignatone al processo trattativa

Nel 1995, in una località di campagna, il Gotha di Cosa nostra, da Bernardo Provenzano a Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, tutti all'epoca latitanti, si sarebbe dovuto riunire tutti insieme per mettere a punto le nuove strategie di Cosa nostra. "A raccontarcelo era stato il colonnello dei Carabinieri Michele Riccio che lo aveva appreso da un confidente. Per noi sarebbe stato un sogno potere arrestare i tre latitanti tutti insieme". Lo ha detto il Procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, deponendo come testimone al processo sulla trattativa tra Stato e mafia. In quel periodo Pignatone coordina l'inchiesta sulla latitanza dei tre boss mafiosi, poi tutti finiti, da lì a poco, in carcere. "Riccio ci disse che si sarebbe fatto sentire presto - racconta Pignatone -Si faceva vedere mediamente una volta la settimana. Riccio mi disse anche che, grazie al rapporto con la sua fonte, erano stati arrestati diversi latitanti, anche importanti".

Pignatone, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo, ha ricordato il giorno in cui conobbe il colonnello dei Carabinieri del Ros Michele Riccio. "Era il 1995 - dice - e l'allora Procuratore capo di Palermo, Giancarlo Caselli, mi convocò nel suo ufficio. C'erano pure i vertici della Dia, da Pappalardo a Tomaselli, oltre a Giuseppe Cufalo, l'ex ex capocentro Dia di Palermo. Riccio mi venne presentato in quella occasione". "Il senso del discorso era che la Dia nella sua massima espressione operativa, aveva svolto una attività di indagine con la Procura di Genova, basata sulla fonte che parlava con il colonnello Riccio - racconta il Procuratore di Roma - che aveva portato alla cattura di latitanti. A questo punto, l'attività del colonnello Riccio, era mirata alla cattura di Bernardo Provenzano. Dalla Procura di Genova gli atti venivano poi mandati alla nostra Procura. E la Dia assegnò a me questo procedimento che nacque da questi atti trasmessi da Genova e che consistevano semplicemente nei contatti che io e Caselli abbiamo avuto con il colonnello Riccio, che parlava con questa fonte".

Parlando dell'indagine sui boss latitanti, Pignatone ricorda che Caselli gli disse "che di questa inchiesta non dovevo parlare con nessuno, all'interno dell'ufficio, e riferire esclusivamente a lui". "Un giorno la collega Teresa Principato seppe che c'era del personale, o carabinieri o Polizia, in zona di Agrigento, di cui non sapeva nulla. E mi chiesi se stessi facendo indagini in quella zona. Io le dissi: 'Non ti offendere ma non ti posso dire nulla, parla con Caselli che ti dirà le indicazioni del caso'. poi non mi disse più nulla. Forse ne parlò con Caselli". Parlando poi ancora di Luigi Ilardo, il confidente del colonnello Michele Riccio, poi ucciso da Cosa nostra prima di iniziare la formale collaborazione con la magistratura, Pignatone ha sottolineato: "Fino al marzo del '96 non avevo mai saputo il nome della fonte Ilardo. Io, per metodo di lavoro, non ho mai voluto sapere i nomi delle fonti, anche con le autorità giudiziari con cui ho un rapporto pluriennale, di fiducia".

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