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Consigliere Lega indossa il burqa: "Per tutte le donne invisibili nel nostro Paese"

08 marzo 2016 | 17.30
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(Foto dalla pagina Facebook di Lorella Fontana)
(Foto dalla pagina Facebook di Lorella Fontana)

"Entrare in aula consiliare indossando il burqa è stata una provocazione. Oggi, in occasione della festa della donna è importante riflettere su quante donne invisibili esistano nel nostro stesso Paese. E non si tratta soltanto di un velo o di un burqa imposto dalla famiglia per uscire di casa, si tratta piuttosto di un vero e proprio carcere culturale dal quale non si può uscire se non a caro prezzo". Così il consigliere regionale ligure  della Lega Nord Stefania Pucciarelli, spiega perché questa mattina, in occasione del consiglio regionale ha indossato il burqa.

"Le donne invisibili, segregate e soffocate dentro le reti di una cultura liberticida, la cultura islamica con le sue tradizioni maschiliste e vessatorie –  spiega Pucciarelli –  sono una realtà a cui è necessario dare voce, quella voce che la complicità di gran parte della sinistra italiana, diventata serva dell’Islam pur di raccattare consenso e fare ideologia, soffoca a  ogni piè sospinto. Come può essere salvaguardata la dignità della donna nella pratica dell’infibulazione praticata in molti paesi? Senza scendere nello specifico, ricordo che l’infibulazione è la mutilazione e non solo dei genitali femminili nelle bambine.  La bambina viene insomma cucita come una bambola di pezza, in attesa che lo sposo, a nozze compiute, possa godere di lei senza la paura di non trovarla illibata".

"Nessuno ne parla con sdegno – aggiunge Pucciarelli –  non soltanto l’8 marzo, ma anche durante il resto dell’anno l’invisibilità e il dolore di molte donne è soffocato dal silenzio della ‘cultura’, se così si può chiamare, e dalla politica di sinistra. Dove sono le femministe che oggi starnazzano sui diritti delle lavoratrici e sulla dignità della donna, le stesse che si riempiono la bocca con la parola sessismo, quando si tratta di schierarsi contro la cultura islamica in nome dell’autodeterminazione delle donne? Dov’erano le femministe radical chic quando ragazze di vent’anni morivano assassinate nel nostro Paese per il desiderio di indossare un paio di jeans? Dov’erano quando i nostri poliziotti hanno arrestato genitori degeneri per l’infibulazione della figlia? Ve lo dico io dov’erano e dove sono: in piazza, in parlamento, in televisione a legittimare quella forma ignobile di ultraprostituzione che si chiama utero in affitto. Oppure sono impegnate a spiegare quanto sia bella la differenza di cultura, quanto sia giusto rispettare le usanze altrui, quanto sia bello abbandonare i nostri simboli per rispetto nei confronti di culture totalmente incivili. Ogni cultura si merita dalle altre il rispetto che essa dà alle proprie donne, per questo motivo oggi, il nostro compito dovrebbe essere dar voce e consistenza a quelle donne mute ed invisibili che vivono nel nostro paese, schiave dell’Islam e della barbarie".

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