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Lecce, sequestrata casa di prostituzione: indagati magistrato e convivente

01 luglio 2016 | 16.30
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Lecce, sequestrata casa di prostituzione: indagati magistrato e convivente

Un appartamento nel centro di Lecce , di proprietà di un magistrato originario della città salentina, ma in servizio a Roma presso la Corte di Cassazione, apparentemente adibito a casa vacanze ma che in realtà veniva utilizzato come casa di appuntamento di prostitute. È quanto hanno scoperto gli agenti della Squadra mobile della questura della città pugliese che lo hanno sequestrato su disposizione del gip del tribunale, su richiesta del sostituto procuratore Maria Vallefuoco.

Il proprietario e la sua compagna sono indagati per favoreggiamento della prostituzione. Il primo avrebbe concesso in affitto l'immobile di sua proprietà, che si trova nella zona di piazza Mazzini, a giovani donne romene, esigendo un canone di locazione ben superiore a quello di mercato. Il pagamento avveniva in contanti e naturalmente senza la ricevuta e senza le comunicazioni prescritte all'autorità di pubblica sicurezza.

Negli ultimi mesi alla squadra mobile sono giunte diverse segnalazioni circa un via vai di uomini che, a tutte le ore del giorno, giungevano lì davanti, facevano brevi telefonate, entravano ed uscivano dopo poche decine di minuti. La presunta 'casa vacanze', pubblicizzata su numerosi siti internet, si trova accanto a un altro appartamento che il magistrato e la sua compagna utilizzavano quando erano a Lecce e che era collegato alla prima attraverso una porta interna.

Secondo quanto riferito dalle ragazze straniere trovate all'interno, il proprietario e la compagna erano soliti accedere liberamente all'appartamento confinante nel quale veniva esercitata la prostituzione, per raggiungere la terrazza comune dove stendevano i panni. C'è anche una lavanderia in comune dove i poliziotti, al momento del controllo, hanno trovato la collaboratrice domestica del magistrato e della sua convivente.

Sono tutti elementi che secondo gli i inquirenti inducono a pensare che i proprietario e la sua compagna fossero al corrente delle attività di prostituzione. Gli agenti della mobile, dopo una serie di appostamenti, la deposizione di frequentatori e il controllo e la perquisizione all'interno della casa, dove sono entrati fingendosi clienti, hanno accertato che effettivamente nella stessa si svolgeva attività di prostituzione tramite un sito internet.

Tre le ragazze romene identificate, una delle quali impegnata in una prestazione sessuale con cliente che ha riferito di averla contattata tramite il sito web. L'appartamento è composto, oltre che di una zona soggiorno, di due camere all'interno delle quali è stato ritrovato materiale tipico delle case di appuntamento.

Le stesse ragazze hanno confermato di aver pagato l'affito nelle mani del proprietario senza ricevuta. L'unico documento in loro possesso era una piantina della città di Lecce riportante la zona nella quale si trovava l'immobile, con l'annotazione a penna di tre numeri telefonici, che si rivelavano essere rispettivamente intestati al proprietario, alla sua convivente e alla loro collaboratrice domestica.

Anche il prezzo pagato da ciascuna delle ragazze appare sintomatico, secondo gli investigatori, della consapevolezza da parte del proprietario dell'attività di prostituzione che veniva svolta: per una sola stanza si pagava 300 o 350 euro. Spesso veniva contemporaneamente affittata a più di una persona, circostanza quest'ultima assolutamente incompatibile con qualsiasi lecita attività di locazione immobiliare, nell'esercizio della quale nessuno affitterebbe contemporaneamente la stessa stanza a persone tra di loro estranee e sconosciute.

Dalle dichiarazioni rese dalle ragazze straniere è emerso come il proprietario, il giorno precedente, si fosse recato nell'appartamento per consegnare loro i prodotti per fare le pulizie, annunciando loro, in quell'occasione, che nei giorni successivi avrebbero dovuto condividere la stanza già occupata con altre ragazze appena giunte.

Una delle ragazze ha riferito inoltre che, contattato il proprietario dopo aver trovato in internet il suo numero di telefono quale titolare di un bed and breakfast, dopo essersi lamentata del prezzo, l'uomo esplicitamente le avrebbe detto che a suo avviso lei "non avrebbe avuto problemi a pagare una tale cifra", sottintendendo con ciò di essere consapevole che nel suo appartamento sarebbe stata svolta l'attività di prostituzione.

Significativo appare inoltre non solo che tutti gli inquilini dello stabile avevano compreso il tipo di attività che da circa tre mesi veniva esercitata nell'appartamento al primo piano, considerato l'ininterrotto avvicendarsi di uomini soli a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma che l'indagato, dopo avere diviso in due l'appartamento di sua proprietà, ricavandone quello poi concesso in locazione e adibito all'esercizio della prostituzione, avesse apposto solo all'esterno di questo, e senza l'autorizzazione dei condomini, una telecamera che ne vigilava l'ingresso.

Gli inquilini dell'immobile hanno detto inoltre di aver ripetutamente notato l'indagato accompagnare ragazze in ascensore all'appartamento, portando loro le valigie. Infine, nonostante l'appartamento fosse pubblicizzato online come 'casa vacanze' o 'bed and breakfast', nessuna insegna era stata posta all'esterno.

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