"Mai come in questo caso mi sono sentito compreso e non rispettato. Perché già nel terremoto de L'Aquila io dissi a Berlusconi di fare delle case di legno, provvisorie, perché ci fosse lo stimolo a rifare i paesi com'erano e dov'erano. E oggi non sento altro in televisione che parlare di case di legno, provvisorie e di com'erano e dov'erano". Così Vittorio Sgarbi a margine della presentazione di una iniziativa culturale dedicata al pittore quattrocentesco Cola dell'Amatrice, a palazzo Lombardia. Il modello di ricostruzione dei paesi colpiti dal terremoto dello scorso 24 agosto e "invocato anche dal sindaco di Amatrice", afferma Sgarbi, richiama "parole che sono mie e che voglio rivendicare come idea di rimettere in piedi i paesi e non di fare delle case in trasferimento come capitò con il terremoto del Belice, quando i paesi vennero ricostruiti altrove".
Per il critico "occorre, tra l'altro, ricostruire i paesi selezionando, come unico vantaggio della tragedia, le cose importanti dalle brutte architetture tardo novecentesche". Quindi "rimettere in piedi i palazzi e le chiese e creare un'urbanistica pulita nei centri storici. Per la sensibilità degli abitanti e per la reintegrazione dei luoghi". E "non invece con i villaggi 'new town' secondo lo schema che ha prevalso per comodità nella ricostruzione di tutti i paesi intorno a L'Aquila, con degli orrori da periferia che rendono inqualificabile quell'impresa". Una decisione, oltretutto, che "ha fatto dimenticare la bellezza di quei borghi". Per la ricostruzione di Amatrice e Accumoli, conclude Sgarbi, "occorrerebbe tenere presente il modello di ricostruzione seguito nel 2009 per il borgo di Santo Stefano di Sessanio, in provincia de L'Aquila, dove quello che è rimasto in piedi è quello che era stato restaurato con il lavoro di Walter Mazzitti e Daniele Kihlgren".
