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Se mi dimetto dal lavoro cosa mi spetta?

12 settembre 2016 | 09.33
LETTURA: 5 minuti

(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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Capita spesso che un lavoratore decida di lasciare il proprio posto di lavoro e rassegnare le dimissioni. Per stabilire i diritti del lavoratore che si dimette esistono però due ipotesi, come ricorda il portale 'laleggepertutti.it': le dimissioni 'pure e semplici' e quelle 'per giusta causa'. Nel primo caso, si tratta di una semplice scelta di opportunità del dipendente, il quale, ad esempio, ha trovato un diverso posto di lavoro, non è più soddisfatto del proprio impiego, oppure preferisce non lavorare più.

Le dimissioni per giusta causa, invece, sono quelle rassegnate per causa del comportamento illegittimo del datore di lavoro, come ad esempio quando non viene pagato lo stipendio, vengono posti comportamenti di mobbing o di demansionamento, ecc. Il lavoratore può recedere liberamente in modo unilaterale dal contratto di lavoro rassegnando le proprie dimissioni senza particolari motivi o vincoli (salvo che il contratto collettivo e/o quello individuale dispongano diversamente), se non quello di dare il preavviso all'azienda, e senza che sia necessaria l'accettazione da parte del datore di lavoro.

Quindi, il datore di lavoro non si può opporre alle dimissioni del lavoratore, e questi è tenuto a darle entro un particolare periodo dell'anno. Tuttavia, dal 12 marzo 2016 l'efficacia delle dimissioni è subordinata all'osservanza di una 'forma tipica', cioè una procedura telematica che assicura l'identità del lavoratore che manifesta la volontà di porre fine al rapporto di lavoro. Pertanto, non è più possibile rassegnare le dimissioni con un documento in forma libera come una lettera di dimissioni o una semplice telefonata. Diversamente le dimissioni non hanno valore, e il dipendente avrà diritto a rientrare in azienda.

Al lavoratore che decide di andare via dall'azienda e abbandonare il posto di lavoro, il datore deve ovviamente pagare tutti gli stipendi maturati e non ancora versati e se la dimissione avviene in corso di mese, solo la parte di mensilità lavorata (ad esempio, se il dipendente va via a metà mese, gli spetta solo mezza busta paga). Inoltre gli deve essere corrisposto tutto il Tfr accumulato nel corso degli anni.

Al dipendente che si dimette senza una particolare ragione e che trovi causa del comportamento illecito dell'azienda non spetta l'assegno di disoccupazione (al quale si ha diritto solo nel caso di dimissioni per giusta causa).

Durante il periodo di preavviso dato all'azienda, il lavoratore può decidere di continuare a lavorare: in tal caso, questi ulteriori giorni di lavoro saranno ugualmente retribuiti in busta paga. Se invece sceglie di non lavorare, gli verrà sottratta dallo stipendio una somma a titolo di risarcimento per l'azienda. In pratica, in caso di mancato preavviso, il dipendente subisce solo una trattenuta nell'ultima busta paga per una somma pari alla retribuzione di tanti giorni di preavviso quanti sono quelli non lavorati (cosiddetta trattenuta per mancato preavviso).

Ma di quanto deve essere il preavviso? Non esiste una regola uguale per tutti, ma ogni contratto collettivo prevede un proprio termine. Quindi è opportuno consigliarsi con il proprio consulente del lavoro o il Caf per verificare il corretto termine e non trovarsi poi con brutte sorprese in busta paga. Il contratto individuale può stabilire per le dimissioni un termine di preavviso più lungo rispetto a quello stabilito dal contratto collettivo, quando tale facoltà di deroga è prevista dal contratto collettivo stesso e il lavoratore riceve, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro.

L'obbligo di preavviso è escluso solamente per: le dimissioni per giusta causa, che per loro stessa natura non consentono di rispettarne i termini, e dimissioni della lavoratrice madre e del padre lavoratore e i casi in cui è prevista la libera recedibilità (ad esempio se le dimissioni vengono rassegnate durante o al termine del periodo di prova).

Il dipendente che se ne va dal lavoro non per una propria scelta, ma perché obbligato dal comportamento illegittimo dell'azienda (ad es. mancato pagamento degli stipendi o reiterato ritardo; demansionamento, mobbing, mancato rispetto della sicurezza nei luoghi di lavoro o della tutela della salute, mancato godimento di ferie e permessi spettanti per legge, ecc.) ha diritto ad alcune indennità come l’indennità sostitutiva del preavviso e l'indennità di disoccupazione dall'Inps, sussistendone i presupposti.

Il lavoratore che si dimette per giusta causa ha sempre diritto all'assegno di disoccupazione (Naspi). Per ottenerlo è sufficiente fornire all'Inps la prova della giusta causa, eventualmente esibendo la lettera indirizzata all'azienda. Il lavoratore dimissionario ha diritto anche alle ultime mensilità maturate e non ancora corrisposte e al fr maturato.

Secondo la giurisprudenza prevalente, al lavoratore che si dimette per giusta causa non spetta il risarcimento del danno da parte dell'azienda, salvo che le dimissioni siano dipese dall'inadempimento dell'azienda stessa, che non ha tutelato la salute sul luogo di lavoro.

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