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Catania, dirottavano pazienti in dialisi da strutture pubbliche a private: 5 arresti

18 ottobre 2016 | 12.53
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Foto di repertorio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA
Foto di repertorio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA

Sviavano i pazienti in dialisi dalle strutture pubbliche a quelle private. I finanzieri del Comando provinciale di Catania, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia etnea, hanno tratto agli arresti domiciliari cinque persone, tra dirigenti medici e imprenditori del settore. Le accuse contestate sono associazione a delinquere finalizzata al compimento di reati di corruzione e abuso d’ufficio.

Tra le persone arrestate c'è anche un parente del noto latitante Matteo Messina Denaro. Al centro delle indagini c'è la Diaverum Italia Srl, "inserita - riferiscono le Fiamme gialle - in un gruppo internazionale di assoluto rilievo, attivo in 20 nazioni con 9mila dipendenti, 29mila pazienti in cura e un volume d’affari di oltre 580 milioni di euro. Agli arresti domiciliari, fra gli altri, sono finiti l'ex amministratore delegato, G. B. L., e il 'Ragioniere', F. M. D., 55 anni, nato a Castelvetrano, con un lontano legame di parentela con il noto boss latitante Matteo Messina Denaro, dal momento che i rispettivi nonni erano fratelli.

Secondo gli inquirenti, i due erano riusciti a espandere l'attività dell'azienda nel settore dell'assistenza ai pazienti in dialisi deviando l’assegnazione da strutture pubbliche e acquisendo anche diversi centri privati attivi nella regione siciliana. Al centro del 'circuito corruttivo', insieme con la 'Diaverum' c'era anche la società 'Le Ciminiere', i cui centri dialisi sono risultati destinatari privilegiati dei pazienti dialitici, garantendosi così da un lato l’erogazione di cospicui contributi pubblici, pari a circa 40mila euro all'anno per paziente, e dall’altro l’acquisizione progressiva di quote di mercato tali da creare una posizione dominante nel settore dialitico privato della Sicilia orientale. Da quanto emerso dalle intercettazioni, quando si riferivano ai malati gli arrestati parlavano di "regali" o "numeri da portare". Nessuna responsabilità penale è emersa invece sul conto delle strutture ospedaliere catanesi dove prestavano servizio i dirigenti medici e gli infermieri corrotti.

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