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Terremoto, gli esperti: "La terra si è spaccata per 15 chilometri"/Foto

04 novembre 2016 | 16.40
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FOTO INGV
FOTO INGV

Sotto la forza del terremoto del 30 ottobre scorso "la terra si è 'spaccata' per 15 chilometri fra Arquata del Tronto e Ussita", producendo una 'frattura' nel suolo, tra i due centri abitati, "profonda fino ad un metro e mezzo". A indicarlo all'Adnkronos è il sismogolo e geologo dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Paolo Marco De Martini, coordinatore del gruppo Emergeo dell'Ingv. Questo sisma, spiega, "ha letteralmente ridisegnato la topografia dei luoghi come non accadeva dal terremoto dell'Irpinia del 1980".

"Abbiamo rilevato -riferisce De Martini- che il terremoto del 30 ottobre ha prodotto almeno 15 chilometri di scarpata di faglia, ovvero una rottura del terreno, tra gli abitati di Arquata del Tronto e Ussita", una 'spaccatura' avvenuta "in corrispondenza della intersezione del piano di faglia responsabile del terremoto e la superficie topografica". (FOTO)

"Questo spostamento cosismico, uno spostamento causato cioè dal sisma, è comune per terremoti con magnitudo prossima o superiore a 6 e rappresenta la prosecuzione verso la superficie della rottura e dello scorrimento avvenuto sulla faglia in profondità" spiega ancora il coordinatore del team di Emergeo che sta studiando l'area dell'Appenino Centrale fin dal 24 agosto scorso. Il gruppo di geologi e sismologi dell'Ingv ha quindi rilevato impressionanti similitudini negli effetti del terremoto del 30 ottobre con quello del 1980, un sisma, sottolinea De Martini, "che ha fatto scuola nella storia dei terremoti italiani".

"Sebbene l'energia del terremoto del 30 ottobre sia stata inferiore a quello dell'Irpinia -afferma ancora De Martini- anche in questo recente sisma si sono formate scarpate di faglia molto evidenti, con scalini profondi e di lunghezza significativa". "Anche a causa del terremoto de L'Aquila del 2009 -continua il sismologo-geologo dell'Ingv- fu rilevata una 'spaccatura' del terreno ma era lunga 'appena' 3 chilometri e con gettata verticale, cioè profonda, solo 10-20 centimetri".

"Già dopo il terremoto del 24 agosto scorso erano state osservate delle scarpate di faglia sul fianco del monte Vettore, ma anche queste erano ben più limitate delle attuali, così come quelle segnalate più a Nord che si estendono fino a Cupi e causate dal terremoto del 26 ottobre" evidenzia De Martini in una relazione realizzata con il suo team di cui fanno parte anche i sismologi Daniela Pantosti e Marco Moro.

Nella relazione, i ricercatori riportano che "le scarpate di faglia del 30 ottobre sono molto evidenti e appaiono come un gradino nella topografia di entità variabile tra 20 e 70 centimetri, la loro localizzazione lungo la faglia geologica, insieme alla loro geometria ed entità della deformazione, sono del tutto consistenti con il movimento avvenuto in profondità che ha raggiunto picchi superiori ai 2 metri, che hanno prodotto il ribassamento del settore occidentale rispetto a quello orientale".

Ribassamenti simili sono stati misurati anche elaborando i dati satellitari e "tutte insieme queste osservazioni, effettuate sulla superficie terrestre, ci consentono di comprendere cosa è avvenuto in profondità e quindi di caratterizzare il terremoto e la sua faglia sismogenetica" spiegano i ricercatori. "Le rotture cosismiche - scrivono nella relazione- non sono localizzate in modo casuale. Queste avvengono in corrispondenza di faglie geologiche attive che, nel caso di questa sequenza, formano il sistema Vettore-Porche-Bove già noto ai geologi italiani".

I grandi terremoti, infatti, ricordano gli esperti dell'Ingv, "rompono ripetutamente le stesse faglie e quelle estensionali provocano il ribassamento e il relativo sollevamento delle due porzioni di crosta separate dalla faglia. Il ripetersi di terremoti successivi lungo le stesse faglie, porta all’accumularsi delle deformazioni di ciascun terremoto che è alla base della crescita delle montagne e dell’ampliamento dei bacini, come ad esempio il Monte Vettore o la Piana di Castelluccio". Il terremoto, aggiungono, "è quindi una delle forze guida principali dell’evoluzione del paesaggio di questo bellissimo settore dell’Appennino centrale".

Di qui il confronto studiato dai ricercatori fra l'attuale terremoto con il devastante sisma che squassò l'area dell'Irpinia 36 anni fa: "Anche durante il terremoto del 23 novembre in Irpinia si erano prodotte scarpate di faglia per circa 40 chilometri tra Lioni e Sant’Angelo dei Lombardi, con scarpate alte fino a 120 centimetri. La scarpata di faglia del terremoto dell’Irpinia sul monte Carpineta ha prodotto un rigetto verticale che ha raggiunto anche 120 centimetri di profondità".

La scarpata di faglia del terremoto dell’Irpinia del 1980, rilevano i sismologi dell'Ingv, ha prodotto, attraverso la Piana di San Gregorio Magno, nella terminazione Sud della rottura, un rigetto verticale profondo 20-40 centimetri". La dimensione della scarpata e, in particolare, la lunghezza e l'altezza, sostengono, "sono proporzionali alla magnitudo del terremoto" ed un grafico realizzato dal team mostra che "per una magnitudo 6.5 ci si può aspettare la formazione di scarpate lunghe una ventina di chilometri e alte in media 40 centimetri, in accordo con quanto osservato per il terremoto del 30 ottobre".

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