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Le motivazioni

Mondo di mezzo, i giudici: non c'è mafia

17 ottobre 2017 | 12.41
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La cattura di Carminati (Fotogramma) - FOTOGRAMMA
La cattura di Carminati (Fotogramma) - FOTOGRAMMA

Non c'era mafia ma solo corruzione. Le 3200 pagine di motivazioni della sentenza del processo su mafia capitale spiegano perché è venuta meno l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il Tribunale, scrivono i giudici della X sezione penale, "non ha individuato, per i due gruppi criminali", quello presso il distributore di Corso Francia e quello riguardante gli appalti pubblici, "alcuna mafiosità 'derivata' da altre, precedenti o concomitanti formazioni criminose". Per i giudici le due associazioni non sono caratterizzate neppure da mafiosità 'autonoma'.

Deve quindi ribadirsi, si legge ancora nelle motivazioni, "l'impossibilità di tenere conto, ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 416 bis c.p., di eventuali condotte qualificabili come 'riserva di violenza', condotte che possono riguardare soltanto le mafie 'derivate', le uniche in grado di beneficiare della intimidazione già praticata dalla struttura di derivazione''.

Il concetto di ''mafiosità'', cui più volte hanno fatto riferimento gli accusatori nel processo al 'Mondo di Mezzo', "non è - scrivono i giudici -quello recepito dal legislatore nella attuale formulazione della fattispecie di cui all'art. 416 bis c.p. per la quale, come già detto, non è sufficiente il ricorso sistematico alla corruzione ed è invece necessaria l'adozione del metodo mafioso, inteso come esercizio della forza della intimidazione".

NESSUN LEGAME CON LA BANDA DELLA MAGLIANA - "Non è possibile stabilire una derivazione - sottolineano i giudici - tra il gruppo operante presso il distributore di benzina, l'associazione operante nel settore degli appalti pubblici e la banda della Magliana, gruppo criminale organizzato e dedito ad attività criminali particolarmente violente e redditizie che ha operato nella città di Roma, ramificandosi pesantemente sul territorio, oltre 20 anni orsono, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '90''.

CARMINATI - Massimo Carminati, sottolineano i giudici, è "destinatario, per l'importanza delle vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto e per l'interesse mediatico che le ha accompagnate, di una notevole e duratura fama mediatica, che ne ha consolidato l'immagine e gli ha creato intorno un alone di inafferrabilità: per essere sopravvissuto; per aver riportato, per quelle vicende, condanne complessivamente modeste; per essere andato assolto da alcune gravi imputazioni".

"Fama a parte - continuano - l'esistenza di un collegamento soggettivo non significa, però, automatico ripristino o prosecuzione del gruppo precedente: non è sufficiente l'intervento di Carminati, ''erede della banda della Magliana'', a stabilire un rapporto di derivazione tra detta banda e successive organizzazioni in cui Carminati si trovi coinvolto. Peraltro, neppure per la banda della Magliana si è potuti giungere ad affermare che si trattasse di un'associazione di tipo mafioso".

INQUINATE SCELTE POLITICHE - Nel settore degli appalti pubblici "l'associazione ha avuto la capacità di inquinare durevolmente e pesantemente, con metodi corruttivi diffusi, le scelte politiche e l'azione della pubblica amministrazione: ciò dimostra la pericolosità dell'associazione nel suo complesso ed anche quella dei singoli partecipi i quali, dotati di diversificate qualità professionali, le hanno fatte consapevolmente convergere verso la realizzazione dei loro propositi criminali", sottolineano i giudici.

BUZZI - "La lunga esperienza maturata da Buzzi nel settore della cooperazione sociale e gli stessi contatti, con politici ed amministrativi, costruiti nel tempo in relazione all'attività delle cooperative, sono stati da lui sapientemente utilizzati e sfruttati per la commissione di reati finalizzati, consentendo una innaturale espansione sul mercato, a potenziare i profitti delle cooperative e dei soggetti che di esse avevano la direzione e la gestione", sottolineano. "Il dato appare ancor più grave ove si tenga conto del percorso di Buzzi, che pure aveva tentato di recuperare il suo passato criminale, e della conoscenza di tale percorso che avevano i suoi collaboratori e sodali, conoscenza che avrebbe dovuto indurre a salvaguardare l'esperienza della creazione di cooperative sociali finalizzate al recupero di ex detenuti e non ad orientarle verso la commissione di reati gravi, e commessi in forma associata", scrivono i giudici.

FATTI DI ESTREMA GRAVITA' - "Tralasciando il clamore mediatico, non vi è dubbio - concludono i giudici - che i fatti accertati siano di estrema gravità, intanto per il loro stesso numero, poi per essere stati i reati-fine realizzati in forma associata, con la costituzione delle due associazioni delle quali si è detto, ed infine per la durata stessa della condotta antigiuridica, che è proseguita nel tempo e che, con l'affinamento dei metodi di azione, ha creato le premesse per una permanente operatività, interrotta soltanto dalle indagini prima e dal processo poi''.

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