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Ecco perché i tassisti ce l'hanno con Uber

22 novembre 2017 | 11.20
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La concorrenza sleale, il divario dei costi di gestione, l'abusivismo "che si sta trasformando in un vero e proprio caporalato digitale", la mancanza di licenze ed il calo degli affari. E' quanto lamentano centinaia di tassisti italiani che ieri hanno incrociato le braccia e partecipato ad un sit-in davanti al ministero dei Trasporti. Ma a nulla è servito l'incontro tra i rappresentanti sindacali e il governo. Le proteste delle auto bianche non si placano e per tutti il nemico numero uno restano le liberalizzazioni. E' già, perché da anni i tassisti temono l'apertura del settore a nuovi soggetti con l'aumento del numero delle licenze.

Più taxi in circolazione, infatti, implicherebbe maggior concorrenza tariffaria e dunque meno corse per i singoli tassisti, con un conseguente calo dei guadagni. Da qui le proteste contro gli Ncc e Uber. L'azienda statunitense, in particolare, viene accusata di concorrenza sleale offrendo, in pratica, lo stesso servizio di trasporto ma a prezzi più competitivi e senza disporre della licenza. Licenza che delimita l'ambito urbano entro cui i tassisti possono muoversi mentre il settore dei loro competitors non è regolamentato. Non è ancora entrato in vigore, infatti, il pacchetto di norme deciso nel 2008 per contrastare il servizio abusivo di taxi e noleggio con conducente.

Le disposizioni dovrebbero includere il divieto di sosta nei posteggi di stazionamento sul suolo pubblico per le auto Ncc, nei comuni in cui viene esercitato il servizio di taxi. Le auto che forniscono il servizio di noleggio con conducente infatti dovrebbero sostare solo all'interno della rimessa situata nel comune che ha rilasciato l'autorizzazione. Da lì dovrebbero partire e tornare dopo ogni viaggio, che può avvenire anche in altri comuni. Ma per il momento il riordino del settore dei trasporti privati resta un miraggio, con le norme in attesa di attuazione e i tassisti ancora una volta sul piede di guerra.

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