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Tre modi (legali) per non pagare l'assegno di divorzio

22 aprile 2018 | 18.21
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(Fotogramma)
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Questa primavera si preannuncia molto calda, e non solo per le temperature, che hanno già notevolmente superato la media del periodo. Mentre il Paese attende un nuovo Governo, ci sono altre questioni che accendono il dibattito sui quotidiani. Una delle più seguite nelle ultime settimane riguarda il pronunciamento della Corte di Cassazione sui criteri per stabilire l’attribuzione dell’assegno di divorzio all’ex coniuge. Sentenza che arriverà, a Sezioni Unite, probabilmente entro la fine del mese.

Dal 1990 al 2017 l’interpretazione è stata univoca: l’assegno divorzile deve essere commisurato al 'pregresso tenore di vita'. Il criterio aveva provocato, nel corso degli anni, situazioni percepite come profondamente ingiuste, con assegni riconosciuti a persone (perlopiù ex mogli) di giovane età e assolutamente abili al lavoro, che però preferivano contare su quanto versato dall’ex partner. Nel 2017 il ‘terremoto’, tramite la sentenza della Cassazione, del caso 'Grilli' che statuiva: "L’assegno è dovuto solo a chi non è né può essere economicamente autosufficiente".

“La ‘partita’ è complessa e si gioca su tre possibili interpretazioni: la Corte potrebbe tornare al passato e recuperare il criterio del tenore di vita - non tenendo conto dei mutamenti sociali nel frattempo intervenuti - oppure potrebbe ribadire il principio dell’autosufficienza economica – pur con i problemi legati al tasso di disoccupazione, che rende non omogenea la possibilità di impiego da nord a sud, oppure, ancora, optare per un’interpretazione che adotta criteri diversi caso per caso”, sostiene l’avvocato Lorenzo Puglisi, presidente e fondatore dell’associazione Familylegal.

Anche a causa di questa scarsa chiarezza nei criteri di calcolo degli assegni di mantenimento, migliaia di papà - che questo assegno sono costretti a versarlo - si trovano nella condizione di non arrivare a fine mese. Stando ai dati Istat, la quota di separazioni in cui la casa coniugale è stata assegnata alle mogli è aumentata dal 57,4% del 2005 al 60% del 2015 e arriva al 69% per le madri con almeno un figlio minorenne.

E nel 94% delle separazioni il tribunale impone al padre un assegno di mantenimento. Per questa ragione sono in aumento coloro i quali, ancor prima della firma dei documenti di divorzio, decidono di pianificare le migliori strategie per evitare che la rottura del matrimonio possa portare a implicazioni finanziarie devastanti.

In Italia, a differenza degli Stati Uniti (o di Inghilterra, Germania e Spagna), non ci si può tutelare tramite i patti prematrimoniali. Quelli riferiti al divorzio in particolare sono nulli per illiceità della causa, poiché in contrasto con il principio di indisponibilità dei diritti scaturenti dal matrimonio. È tuttavia possibile tutelarsi per evitare spiacevoli sorprese, “essenzialmente attraverso tre modalità, che permettono di evitare speculazioni e garantiscono di conservare le risorse economiche per affrontare la separazione con un po’ più di serenità”, chiarisce Puglisi.

1. Uno dei motivi che spinge tante mogli separate a lottare tenacemente per l'assegno divorzile è la possibilità di conseguire una quota sostanziosa del Tfr dell’ex marito. L'art. 12-bis della legge sul divorzio stabilisce, infatti, che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata una sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio abbia diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto titolare dell'assegno divorzio, alla percentuale del 40% dell'indennità di fine rapporto, maturata negli anni coincidenti con il matrimonio e percepita dall'altro coniuge all'atto di cessazione del rapporto di lavoro, anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza, anche qualora il rapporto di lavoro sia iniziato successivamente alla pronuncia della sentenza di separazione.

Ciò nonostante un modo per prevenire tutto ciò esiste: è sufficiente fa confluire il proprio Tfr in un fondo pensione – precisa Puglisi - Tali somme, infatti, come hanno correttamente rilevato le Sezioni Unite della Cassazione, non possono essere considerate nel calcolo del 40% in quanto il loro ambito applicativo dovrebbe essere confinato alla retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore durante gli anni di svolgimento del rapporto e non anche a contributi da cui i lavoratori non possono trarre alcun immediato arricchimento”.

2. Un altro fra i temi più spinosi è quello dell’assegnazione della casa coniugale: molti mariti pensano, infatti, che sia sufficiente intestare l’immobile a un parente (magari proprio ai genitori) per evitare che la futura ex moglie possa accaparrarsi il diritto di abitarvi sino all’indipendenza economica dei figli. Ebbene, la Cassazione, sul punto, ha precisato più volte che la casa rimane ai nipoti perché è stata messa a suo tempo a disposizione proprio affinché vi si potesse insediare la vita familiare, e può esserne chiesta la restituzione solo quando ne cesserà la naturale funzione: ovvero in casi di separazione al raggiungimento della indipendenza economica dei figli. La restituzione è ammessa prima del verificarsi di tale condizione esclusivamente se è indispensabile per i proprietari, ovvero in buona sostanza, se vi debbano abitare perché non possiedono altri immobili.

Due le possibili soluzioni: a) prima di separarsi optare per un immobile in affitto di modo che al momento della formalizzazione della rottura l’unico rischio sia quello di vedersi addebitare il canone di locazione, oppure b) intestare in tempi non sospetti l’immobile familiare a una società immobiliare non riconducibile a nessuno dei prossimi congiunti”, aggiunge Puglisi.

3. Infine, tra le armi 'non convenzionali' rientra – per chi può permetterselo – la delocalizzazione all’estero. Chi svolge un’attività che non abbia radici in Italia (ad esempio gli informatici o i consulenti globali) è libero di potersi aprire una società o una partita iva all’estero rendendo, quindi, certamente più difficoltosa la quantificazione del reddito effettivamente percepito. “Senza considerare che l’eventuale esecuzione forzata da parte di un ex coniuge all’estero è ostacolata da fattori relativi ai costi e alle difficoltà oggettive ad affidarsi ad un legale straniero”, specifica ancora Puglisi.

Non dimentichiamo, peraltro, che lo scorso 6 aprile è entrato in vigore l'articolo 570 bis del codice penale (previsto dal decreto 21/2018) che prevede il carcere fino a un anno o una multa fino a 1.032 euro per l'ex coniuge che si sottrae all'obbligo di pagare quanto pattuito in sede di separazione o divorzio in favore dell'altro coniuge e dei figli. La nuova disposizione ha l'intento di fare maggiore chiarezza rispetto al già esistente l'art. 570 ('Violazione degli obblighi di assistenza familiare') e secondo gli avvocati rappresenta una vera e propria ‘rivoluzione’: “L’azione punitiva, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente se manca un senso di genitorialità che non tutti i genitori biologici hanno”, conclude Puglisi.

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