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Giustizia

Struttura piena, assolto resta in carcere

14 luglio 2018 | 14.23
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(Fotogramma /Ipa)
(Fotogramma /Ipa)

Quando colpì con oltre 30 coltellate alla schiena il suo vicino di casa era incapace di intendere e di volere. Per questo motivo Marco De Silli è stato assolto. Giudicato socialmente pericoloso, il giudice ha disposto per il 33enne una misura di sicurezza di un anno presso una Rems (Residenze per l’esecuzione delle Misure di sicurezza) ma, non essendoci posti, deve restare in carcere. "In questo modo si stanno violando i suoi diritti", sottolinea all'Adnkronos l'avvocato difensore di De Silli, Paolo Raglione, che annuncia: "Valuteremo se rivolgerci alla Corte europea di Strasburgo".

L'omicidio in un appartamento in zona Serpentara a Roma risale a ottobre 2017. De Silli e Massimo Monteneri, la vittima, non erano solo vicini di casa, erano cresciuti insieme, erano legati così come le famiglie. Quel giorno il 33enne, in cura da anni in un Cim (Centro di igiene mentale), vide nell'amico un alieno e gli sferrò decine di coltellate. Per lui il gip aveva disposto il decreto di giudizio immediato ma l'avvocato ha chiesto il rito abbreviato. Il processo si è concluso ieri, con l'assoluzione ma De Silli deve restare dietro le sbarre.

"Il mio assistito si è già fatto 8 mesi di carcere ingiustamente perché lo scorso 22 dicembre il gip aveva disposto il suo trasferimento in una Rems - sottolinea l'avvocato - trasferimento che non è mai avvenuto perché da allora in tutta Italia non si è liberato un posto per lui". "L'assoluzione non è mai compatibile con il carcere - aggiunge - le misure di sicurezza sono una cosa diversa dalla pena. Anche se pericoloso non deve restare in carcere".

Le Rems sono strutture previste dalla legge 81, la stessa che ha fissato per il 31 marzo 2015 la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). In Italia ce ne sono 30 e ognuna ospita al massimo 20 persone. Le 'liste di attesa' per entrarci "esistono e sono piuttosto affollate - scrive Antigone in 'Un anno in carcere' - XIV Rapporto sulle condizioni di detenzione - Manca un quadro nazionale definito (nel 2017 erano 289 persone), ma, a titolo di esempio, si analizzano tre Regioni significative: la Lombardia ha una lista di attesa di 8 persone, il Piemonte di 13 (di cui 4 'attendono' in carcere) e in Campania 44 (di cui 18 in carcere)".

"Purtroppo questo è un problema in crescita - sottolinea all'Adnkronos Michele Miravalle, responsabile dell'Osservatorio Antigone sulle carceri - ricordiamoci la vicenda di Valerio Guerrieri, di cui stiamo ancora seguendo la vicenda processuale, che si è tolto la vita in cella. Ma lui in carcere non doveva starci, anche per lui non era stata applicata una misura di sicurezza che prevedeva il ricovero presso una Rems".

"Le Rems, di fatto luoghi di restrizione di libertà, che comunque sono luoghi chiusi e con visibili dispositivi di sicurezza, dovrebbero essere l'extrema ratio. Invece capita che i giudici le scelgano senza valutare correttamente le alternative, spesso per una difficoltà di dialogo con i servizi di salute mentale", afferma.

"Essere assolti per incapacità di intendere e volere non vuol dire entrare in libertà - continua Miravalle - c'è chi viene giudicato totalmente incapace quindi non è imputabile ma gli viene applicata una misura di sicurezza, come la Rems, perché giudicato socialmente pericoloso e chi invece con un vizio mentale parziale deve scontare sia una pena che una misura di sicurezza". "Il giudice deve valutare ciò che ha fatto una persona malata e quindi decidere dove fargli trascorrere il periodo della misura di sicurezza, a seconda delle sue condizioni di salute - aggiunge - perché oltre alle Rems esistono altre strutture altrettanto sicure in cui tra l'altro le persone vengono curate meglio".

"Perché si scelga la struttura giusta è necessario che venga fatto il percorso previsto dalla legge, venga cioè studiato il caso insieme ai servizi di salute mentale, e questo spesso non avviene - spiega ancora - quindi persone che potrebbero non stare in una Rems occupano il posto di altri che invece dovrebbero starci, allungando le liste d'attesa, e che devono restare in carcere. E' un po' questo il cuore del problema". "Questo - conclude Miravalle - crea un altro problema: persone con patologie psichiatriche che restano in carcere, luoghi non pensati per loro, creano problemi alle stesse strutture carcerarie che non hanno gli strumenti per curarle nel modo giusto".

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