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Giornalista-pellegrino in Terra Santa, la sirena e il sepolcro come rifugio

21 luglio 2014 | 18.24
LETTURA: 4 minuti

Le funzioni religiose sembrano non essere minimamente sfiorate dalla guerra che incombe a due passi, fra lanci di razzi e invasioni di terra a Gaza, a 200 chilometri dalla Città Santa. Una guerra di cui si apprende solo dalle tv

(Xinhua)
(Xinhua)

(di Enzo Bonaiuto, al ritorno dalla Terra Santa) - La sirena suona all'improvviso, nel cuore di Gerusalemme. E per una manciata di secondi accompagna e si sovrappone alle preghiere dei muezzin e al loro salmodiare dai minareti islamici di Al-Aqsa e di Omar sulla spianata delle moschee, alle recite dei salmi ebraici davanti al Muro del Pianto, ai canti cristiani delle processioni cattoliche e ortodosse che si alternano lungo la Via Dolorosa e al Sepolcro.

Funzioni religiose che sembrano non essere minimamente sfiorate dalla guerra che incombe a due passi da qui, fra lanci di razzi e invasioni di terra annunciate - e poi realizzate - a Gaza, a 200 chilometri dalla Città Santa. Una guerra di cui si apprende solo dalle tv, che non si 'tocca con mano'. Poi, però, arriva il suono della sirena - che avvisa dell'avvistamento di razzi lanciati da Hamas e della reazione antimissili di Israele - Una sirena di guerra che ha un suono diverso da tutti gli altri allarmi, più cupo e insistito e per questo più inquietante: pochi secondi per mettersi al riparo.

Gerusalemme è città santa per tutte e tre le religioni: la cristiana, l'ebraica, la islamica. E insieme si è pregato in Vaticano con Papa Francesco, prima che la paglia riprendesse fuoco alla prima miccia accesa. Chi vive a Gerusalemme, come a Tel Aviv, sa già dove doversi rifugiare. Noi, turisti-pellegrini italiani, spinti ad alta voce da un militare israeliano, ci ritroviamo dentro il Santo Sepolcro, dal quale eravamo usciti poco prima, chiusi 'al sicuro' mentre dall'esterno si sentono esplosioni lontane: forse quelle dei missili intercettati e neutralizzati, ma chi può saperlo?

Nessuno oserà sparare su Gerusalemme, se non per rispetto della Città Santa almeno per paura di sbagliare a colpire, in una realtà dove chiese, sinagoghe e moschee 'convivono' - anche se forse il verbo non è quello giusto... - a poche centinaia di metri una dall'altra", ci hanno sempre detto e ripetuto durante il pellegrinaggio per tranquillizzarci. Ed è vero. Ma ora siamo qui, chiusi nel Sepolcro, con la sirena che fuori suona.

Siamo noi, da soli: turisti-pellegrini con al collo i fazzoletti gialli dell'Orp - "teneteli sempre in vista; facciamo capire che siamo cattolici in pellegrinaggio e che siamo italiani: né palestinesi, né ebrei, né americani", la raccomandazione ripetuta - Quante volte abbiamo pregato Gesù come "nostro rifugio"? Ora il suo Sepolcro è davvero il "nostro rifugio", antimissile però. Fuori si sentono esplosioni, lontane. Dentro, la guida spirituale, monsignor Luigi Ginami, celebra messa.

Una messa proprio dentro al Santo Sepolcro, all'altare dedicato alla Maddalena - cattolico, in un edificio in cui i cristiani si sono divisi centimetro per centimetro i loro spazi; dove chi sposta di mezzo metro un tappeto corre il rischio di vederselo tagliato dal 'vicino'; dove il coro degli armeni alza il tono di voce per coprire quello dei francescani, che a loro volta attaccano a suonare l'organo e nessuno può chiamare l'amministratore del difficile condominio... - Una messa in cui si invoca la pace, quella stessa pace implorata da Papa Francesco fino a ieri all'Angelus. Ma vista da qui, 'vista da vicino', quella pace sembra davvero lontana.

Come lontana sembra a Nazareth, quando la visita alla chiesa dell'Annunciazione, nel paese di Maria, viene turbata dalle prime proteste di strada dei palestinesi, alla notizia che Israele ha cominciato a bombardare Gaza in risposta ai lanci dei missili di Hamas e a fare i primi morti, che nei giorni seguenti si conteranno prima a decine e poi a centinaia.

"Meglio far spostare il pullman e cambiare l'itinerario del percorso: è più prudente", ci suggeriscono. E così facciamo, sempre con il fazzoletto giallo dell'Orp al collo, che si porta come un segno distintivo, di appartenenza, come un tifoso con la sua bandiera prima di entrare allo stadio. I razzi da un lato, i bombardamenti dall'altro, le vittime comuni anche se con una sproporzione palese a danno del popolo palestinese, non fanno altro che aumentare il 'tifo ultras' dalle due parti.

Un clima che investe indirettamente anche i cristiani, la cui preghiera del Padre Nostro dentro il luogo del Cenacolo - altro 'territorio' conteso, questa volta pacificamente fra Israele e il Vaticano, per il quale si guarda con speranza all'azione 'diplomatica' di Papa Francesco - vuole essere impedita da un ultraortodosso ebreo, che irrompe con virulenza, sbracciandosi per far capire che non si può continuare. Con scarso successo: il cerchio formato dalla trentina di pellegrini mano nella mano non si interrompe e la preghiera, dedicata alla pace in Terra Santa, ai cristiani come agli ebrei e agli islamici, agli israeliani come ai palestinesi, sale con forza al cielo. Lo stesso cielo che viene ferito dai lanci di razzi e straziato dai bombardamenti aerei.

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