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Iraq, Papa: "Lecito fermare l'aggressore ingiusto, ma non bombardare"

18 agosto 2014 | 09.01
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Per Francesco nel mondo stiamo "vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. A capitoli". Il Pontefice scrive al presidente della Repubblica popolare, invocando "la divina benedizione" sulla sua terra. Bergoglio poi aggiunge: "Andrei subito in Cina". Su un eventuale viaggio in Kurdistan: ''Sono disposto ad andare, ma in questo momento non è la cosa migliore da fare''

Infophoto
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''E' lecito fermare l'aggressore ingiusto'', fermare, "non dico bombardare", e quindi ''valutare i mezzi con cui farlo''. Lo ha detto, riferendosi alla situazione in Iraq, Papa Francesco nel volo di rientro da Seul, come riporta la Radio Vaticana. ''Fermare l'aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo avere memoria - è il monito di Francesco - di quante volte sotto questa scusa di fermare l'aggressore ingiusto le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma questo, come si ferma un aggressore ingiusto''.

''Oggi noi siamo in un mondo in guerra - aggiunge Papa Francesco come riportato dal sito Vatican Insider -, dappertutto! Qualcuno mi diceva: lei sa, padre, che siamo nella terza guerra mondiale, ma fatta a pezzi. A capitoli''. ''È un mondo in guerra dove si fanno queste crudeltà. Vorrei fermarmi su due parole. La prima è crudeltà. Ora i bambini non contano! - denuncia il Papa -. Una volta si parlava di una guerra convenzionale, ora questo non conta. Non dico che le guerre convenzionali siano cosa buona, no. Ma oggi va la bomba e ammazza l'innocente con il colpevole, il bambino con la donna, la mamma: ammazza tutti". ''Ma vogliamo fermarci a pensare un po' al livello di crudeltà a cui siamo arrivati? - chiede Bergoglio -. E questo ci deve spaventare. Non è per fare paura. Il livello di crudeltà della umanità in questo momento è da spaventare un po'''. Quanto alla tortura ''è un peccato contro l'umanità - ha detto - è un delitto contro l'umanità e ai cattolici io dico: 'Torturare una persona è peccato mortale, è peccato grave!'. Ma è di più: è un peccato contro l'umanità''.

Quanto alla possibilità di un viaggio in Kurdistan Papa Francesco ha rivelato: ''Sono disposto ad andare'', ''ma in questo momento non è la cosa migliore da fare''.

L'incontro di preghiera in Vaticano tra Peres e Abu Mazen è stata un'iniziativa ''nata da uomini che credono in Dio'', spiega Papa Francesco, e ''assolutamente non è stato un fallimento''. Senza preghiera, non c'è negoziato né dialogo, ha spiegato, dunque è stato ''un passo fondamentale di atteggiamento umano''. ''Credo che la porta sia stata aperta'': ''Adesso il fumo delle bombe, delle guerre non lasciano vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento - ha ribadito Francesco -. E io credo in Dio, io credo che il Signore guardi quella porta e quanti pregano e quanti chiedono che Lui ci aiuti''.

Mentre il Pontefice sorvolava la Cina, un telegramma a firma del Pontefice è arrivato al presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping. Nello scritto Bergoglio invoca "la divina benedizione" sulla sua terra e auspica "un dialogo a beneficio di tutti" con tutti quei Paesi con cui la Santa Sede non ha ancora una piena relazione.

"La Santa Sede tiene aperti i contatti'' con la Cina, il cui popolo è ''bello, nobile e saggio'', riferisce Radio Vaticana, rivelando il desiderio di compiere anche subito un viaggio in Cina.

Prima di lasciare la Corea per far ritorno in Italia, Papa Francesco ha tenuto una messa di "pace e riconciliazione" per i coreani nella cattedrale di Seul Myeong-dong. L'augurio è che possano costruire il proprio futuro "nell'attenzione ai più deboli" . Tutti i coreani "sono fratelli e sorelle, membri di un'unica famiglia e di un unico popolo. Parlano la stessa lingua", ha detto il Pontefice durante la messa invitando i cristiani coreani a una "testimonianza convincente del messaggio riconciliatore".

"La messa di oggi - è il monito di Bergoglio che ricorda "il conflitto che dura da oltre sessant'anni" - è soprattutto e principalmente una preghiera per la riconciliazione in questa famiglia coreana. Nel Vangelo, Gesù ci dice quanto potente sia la nostra preghiera quando due o tre sono uniti nel suo nome per chiedere qualcosa. Quanto più quando un intero popolo innalza la sua accorata supplica al cielo".

"La mia permanenza in Corea - ricorda Papa Francesco - si avvia al termine e non posso che ringraziare Dio per le molte benedizioni che ha concesso a questo amato Paese e, in maniera particolare, alla Chiesa in Corea. Tra queste benedizioni conservo specialmente l'esperienza, vissuta insieme in questi ultimi giorni, della presenza di tanti giovani pellegrini provenienti da tutte le parti dell'Asia. Il loro amore per Gesù e il loro entusiasmo per la diffusione del suo Regno sono stati un'ispirazione per tutti".

Il Papa prima di lasciare la Corea ringrazia "la Presidente della Repubblica, le Autorità civili ed ecclesiastiche e tutti coloro che in qualsiasi forma hanno aiutato a rendere possibile questa visita". Ringrazia in particolar modo i sacerdoti della Corea elogiando il loro lavoro: "il vostro esempio di amore senza riserve per il Signore - sottolinea -, la vostra fedeltà e dedizione al ministero, come pure il vostro impegno caritatevole per quanti si trovano nel bisogno, contribuiscono grandemente all'opera di riconciliazione e di pace in questo Paese". Infine l'invocazione: "Possano i seguaci di Cristo in Corea preparare l'alba di quel nuovo giorno, quando questa terra del calmo mattino godrà le più ricche benedizioni divine di armonia e di pace".

Il presidente della Conferenza episcopale coreana, mons. Peter U-il Kang, a Radio Vaticana ha detto che "è stata veramente una visita benedetta per tutto il popolo di Corea" quella del Papa. "Penso che il Papa abbia dato l'impressione del buon pastore. Ci ha fatto sorridere, ci ha fatto sentire la consolazione - ha aggiunto-, ci ha fatto sentire di essere guariti dai tanti tipi di ferite… Dunque, la sua visita è stata una visita veramente piena di amore del pastore".

A detta del presidente dei vescovi coreani, " il messaggio più forte è sentire che per poter arrivare alla pace bisogna cominciare a costruire la giustizia nella società, tra il popolo e tra noi stessi".

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