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Mo: tra i beduini di Humsa, assediati da Tsahal e in lotta per sopravvivenza

18 aprile 2015 | 11.28
LETTURA: 4 minuti

Lo scorso anno il campo è stato distrutto dagli israeliani. Ma i suoi abitanti non se ne sono andati. Hanno vissuto un mese all'aperto, hanno aspettato con pazienza che i soldati andassero via e poi hanno ricostruito il campo

Foto Adnkronos
Foto Adnkronos

A Humsa si arriva dopo una lunga discesa verso la Valle del Giordano, in Cisgiordania. Si lascia la strada principale e si entra in una via sterrata, lungo la quale le auto avanzano a fatica. Sulla destra superiamo un campo base dell'esercito israeliano. Un gruppo di soldati di Tsahal parla in cerchio su una collinetta, più a valle altri soldati impugnano armi.

Si respira un'aria pesante, la terra aspra tutto intorno non allevia la sensazione di essere in un posto ostile. Quasi si stenta a credere quando ad un tratto compare all'orizzonte un gruppo di tende. Sono i beduini della comunità al-Baqai, da decenni radicati in questa zona. Vivono di pastorizia, ovunque pascolano pecore e capre.

Gli uomini ci aspettano sotto la tenda più grande, alcuni sorseggiano il tè. In fondo al campo ci sono invece le tende dove trascorrono la giornate le donne dopo aver dato il loro contribuito alla gestione del gregge, una cinquantina di capi, unica fonte di guadagno per la comunità. Hanno colori chiari, gli occhi azzurri. Anche i bambini in braccio sono biondi. Siamo in un'area disabitata, la scuola più vicina è a 15 chilometri.

Per le autorità israeliane, tuttavia, questo territorio è classificato come 'zona c', ovvero sotto il totale controllo militare e civile dello Stato ebraico. Il campo, composto da cinque al massimo sei tende, si trova - secondo gli israeliani - in un luogo adibito all'addestramento delle truppe e va demolito.

Dalle parole si è passati presto ai fatti. Ad agosto dello scorso anno il campo è stato distrutto. I suoi abitanti, una trentina in totale, sono stati privati delle loro case, ma non se ne sono andati. Hanno vissuto un mese all'aperto, hanno aspettato con pazienza che i soldati se ne andassero. Poi hanno ricostruito il campo, grazie all'aiuto di alcuni attivisti di un'ong internazionale che hanno chiesto di restare anonimi per questioni di sicurezza.

"Troppo forte il legame con questa terra", racconta ad Aki-Adnkronos International Lina, 30 anni tutti vissuti in questo fazzoletto, mentre i bambini le girano intorno scalzi. I militari israeliani "sono arrivati alle sei del mattino, ci hanno dato otto ore di tempo per sgombrare, poi sono entrate in azione le ruspe".

"Non ho paura dei soldati israeliani. Anche se ci cacceranno metteremo di nuovo in piedi le tende. Voglio continuare a vivere dove sono nata", prosegue Lina che non ha timori nel parlare. Nel campo non ci sono tv, telefono, internet. Unico contatto con l'esterno è chi viene a comprare i formaggi prodotti dai villaggi vicini. "Ma non mi pesa questa vita", aggiunge.

Non tutte la pensano come Lina. Sua cugina Amal ha 22 anni e un sogno: insegnare informatica ai bambini delle elementari. "Non voglio stare qui, vorrei andare a Hebron", dove vivono alcuni parenti. Chissà se realizzerà mai il suo sogno. Un attivista dell'ong che ha accettato di parlare spiega che difficilmente potrà lasciare il campo. "Nella comunità beduina gli uomini hanno grandi libertà di movimento, mentre le donne non hanno possibilità di andarsene, a meno che si sposino e il marito decida di lasciare la comunità, come accaduto di recente a una coppia che ora vive a Gerusalemme", sottolinea l'attivista.

Amal e Lina proseguono a parlare con i giornalisti sotto lo sguardo attento della madre Jamila, una donna che dimostra ben più dei 50-55 anni che dichiara di avere. Fuori dalla tenda, in cima a una collina c'è una seconda base israeliana. Sventolano le bandiere dello Stato ebraico in cima alle installazioni. Amal e Lina tornano al loro lavoro quotidiano.

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