Dieci donne sudcoreane, che dicono di essere state usate come schiave sessuali da parte dei soldati giapponesi durante la seconda guerra mondiale, hanno deciso di intraprendere una causa per risarcimento danni. Lo riferiscono i media locali a pochi giorni dallo storico accordo raggiunto da Seoul e Tokyo sull'annosa questione che per decenni ha reso difficili i rapporti tra i due paesi.
Secondo la Yonhap News Agency la causa è stata lanciata nel 2013 da 12 donne, ma il processo di mediazione è stato respinto dal governo giapponese. Mercoledì la Corte distrettuale di Seoul ha formalmente concluso il procedimento. Ora le ricorrenti, di cui due sono morte nel corso di questi anni, respingono l'intesa sigillata da Giappone e Corea del Sud all'inizio di questa settimana, sostenendo che non costituisce un'ammissione di responsabilità legale per la schiavitù sessuale.
Come parte dell'accordo, il primo ministro giapponese Shinzo Abe si è scusato per l'uso dei cosiddetti "donne di conforto" e ha detto che il Giappone avrebbe fornito un miliardo di yen (8,3 milioni di dollari) ad una fondazione istituita dalla Corea del Sud per sostenere le vittime.
Fino a 200.000 donne, molte delle quali erano coreane, vennero impiegate come schiave del sesso per i militari nipponici prima e durante la seconda guerra mondiale. Delle 238 donne registrate presso il governo della Corea del Sud come vittime ne restano in vita solo 46.
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