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Bruxelles il giorno dopo, stazione Centrale blindata e banchine della metro vuote

23 marzo 2016 | 15.14
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La stazione di Bruxelles (Adnkronos)
La stazione di Bruxelles (Adnkronos)

Militari con il volto coperto e mitra alla mano, poliziotti dappertutto, con cani al seguito, e una sola entrata aperta, quella principale. Il giorno dopo gli attentati che hanno colpito l'aeroporto di Bruxelles Zaventem e la fermata della metropolitana di Maelbeek, per entrare nella stazione Centrale della capitale belga, uno degli scali ferroviari principali della città, dalla quale si accede anche alla metropolitana, bisogna fare la coda (FOTO).

La fila è per il controllo bagagli, che viene effettuato dalla Polizia, ma la procedura è piuttosto rapida: in tutto stamani intorno alle 9.30 sono bastati 2 minuti e 45 secondi. Il controllo allo zaino, probabilmente anche per via del badge da giornalista accreditato, è piuttosto sbrigativo. Comunque non ci sono metal detector. Fuori dalla stazione, il dispiegamento di forze è massiccio e i militari sono solerti.

Se si prova a riprendere immagini con il telefonino, si viene immediatamente ripresi da un ufficiale. Qualificarsi come giornalisti è fatica sprecata, le ragioni di sicurezza ovviamente prevalgono: "Non mi interessa - risponde il militare - niente immagini del personale militare". Venti metri più avanti le telecamere mandano in diretta le immagini dell'ingresso della stazione, presidiata da soldati in mimetica, casco, giubba antiproiettile, passamontagna e mitra alla mano.

Dopo il controllo bagagli, per raggiungere la metropolitana bisogna passare il varco degli steward della Stib, che chiedono a chi vuole passare dove vuole andare, visto che la metropolitana funziona solo parzialmente: il tratto tra Gare Centrale e Schuman delle linee 1 e 5, in cui si trova la fermata di Maelbeek, è chiuso; viaggiano autobus sostitutivi. La galleria che conduce alla metro è deserta: passano pochissime persone, mentre la parte ferroviaria della stazione è leggermente più animata.

Prima di scendere in banchina, c'è un altro varco, presidiato da poliziotti e militari. L'agente fa passare solo dopo aver controllato di nuovo lo zaino del passante. Le banchine della stazione, al piano inferiore, sono vuote, intorno alle 10 che in genere è un ora in cui la metro è piuttosto affollata. Una guardia della Stib si allarma quando vede lo smartphone in azione e il badge da giornalista. Si avvicina e allontana il cronista: "Pas de presse, pas de journalistes", intima, spiegando che occorre contattare il portavoce.

Di sopra, nella galleria vuota, Lakbi Azmi, 65 anni, nativo di Tangeri, in Marocco, ma "a Bruxelles da 45 anni", titolare della bottega Shoes Mint, che ripara calzature, fa copie di chiavi e vende lucchetti, non si aspetta grandi affari oggi, come "è normale, vista la situazione. Lei - dice - è il mio primo cliente, di solito a quest'ora ne ho già avuti dieci o undici".

Azmi gestisce il negozio a Gare Centrale da quattro mesi; prima stava a Louize, un'altra fermata della metropolitana di Bruxelles, a un chilometro e mezzo in linea d'aria. Quando gli si chiede dei fatti di ieri, quasi grida: "Il Belgio è il mio Paese, noi lottiamo contro il terrorismo. Questi sono criminali: noi siamo tutti la stessa cosa, ciascuno ha la sua religione, ma viviamo tutti insieme qui a Bruxelles".

"Sono qui da 45 anni - continua Azmi - ho sempre lavorato e lavoro ancora, anche se potrei andarmene in pensione, perché mi piace avere a che fare con la gente. C'è sempre qualcuno che ha un problema con la serratura, con le chiavi, o che vuole riparare delle scarpe: ho sempre fatto questo nella vita e continuerò a farlo. Qui ho i miei parenti, qui sono nate e cresciute le mie tre figlie: il Belgio è il mio Paese - ripete - e questi sono dei criminali, contro i quali bisogna lottare".

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