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Nordcorea, ecco perché il sesto test ancora non c'è stato

26 aprile 2017 | 17.00
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(Xinhua)
(Xinhua)

Dato per imminente, il sesto test nucleare nordcoreano non è ancora avvenuto. Ma per molti esperti è solo questione di tempo. E ora ci si chiede quando avverrà e se il ritardo sia legato alla politica più 'muscolare' del presidente americano Donald Trump. "Penso si possa dire con certezza che faranno un sesto test ad un certo punto, loro calibrano i tempi molto attentamente", ha detto Jean Lee, esperta di Corea del Nord del Wilson Center, ricordando che Pyongyang sceglie le date dei lanci tenendo conto delle circostanze geopolitiche e delle ricorrenze nazionali.

Per questo vi erano state speculazioni su un possibile test il 15 aprile, anniversario della nascita del fondatore del regime, o ieri, 85esimo anniversario della fondazione delle forze armate. In base a questa logica, la prossima data potrebbe essere il 25 giugno, anniversario dello scoppio della guerra di Corea nel 1950.

Ma John Delury, dell'università Yonsei di Seul, mette in guardia dall'adagiarsi troppo su questo schema. "Se la Vinson si posiziona sulla base di queste date, l'ovvio problema è che potrebbe andarsene e i nordcoreani potrebbero fare un test una settimana dopo", ha commentato, riferendosi alla portaerei inviata sul posto (con qualche deviazione) dal presidente americano Donald Trump.

Se Pyongyang può ora approfittare anche dell'incertezza sul sesto test, vi è anche chi, come Tong Zhao del Carnegie-Tsingua center di Pechino, sottolinea che il vero passo pericoloso è lo sviluppo di missili intercontinentali capaci di colpire gli Stati Uniti con testate atomiche. Secondo Tong, nuovi test servirebbero solo ad aumentare la potenza di una minaccia che già esiste. Per questo, sostiene, Pyongyang si può permettere di rinviare o cancellare il test, usandolo come merce di scambio in un eventuale negoziato.

Secondo gli esperti è per il momento difficile capire se il test sia stato rinviato di fronte alla voce grossa degli americani o a pressioni di Pechino. L'ex ministro della Difesa americano William Perry propende però per questa tesi, sottolineando che il nonno dell'attuale leader, Kim Il Sung, fu spinto a negoziare nel 1994 dalla convinzione che gli Stati Uniti fossero pronti all'azione militare.

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