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Ecco perché i campioni protestano contro Trump

25 settembre 2017 | 11.21
LETTURA: 3 minuti

(Afp) - AFP
(Afp) - AFP

In ginocchio e sotto braccio durante l'inno nazionale. E' la risposta del football americano ai violenti attacchi di Donald Trump che si è scagliato contro gli atleti che "mancano di rispetto" all'inno.

Nelle partite che si sono disputate ieri, alle decine di giocatori che da tempo si inginocchiano durante l'inno, in segno di solidarietà con il movimento di Black Lives Matter, si sono uniti altri atleti, e in alcuni casi anche allenatori e presidenti, che si sono schierati, tenendosi sotto braccio, in segno di solidarietà e difesa della Nfl messa sotto attacco dal presidente.

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Contro Trump si sono espressi anche proprietari delle squadre ai quali, venerdì scorso, si era rivolto chiedendo di licenziare i "son of the bitch" che "mancano di rispetto alla nostra bandiera". "Sono molto deluso dai toni delle dichiarazioni fatte dal presidente" ha detto Robert Kraft, patron dei New England Patriots, che è un sostenitore del presidente.

Anche Shahid Khan, proprietario dei Jacksonville Jaguars che è stato tra i finanziatori della campagna di Trump, è sceso in campo, a braccetto con i suoi giocatori, durante una partita che si è giocata a Londra, in segno di protesta contro le "dichiarazione divisive e aggressive del presidente".

Giocatori praticamente di tutte le squadre della Nfl ieri hanno dimostrato contro il 'ditact' di Trump, e in alcuni casi i dirigenti hanno scelto, forse per evitare di mostrare divisioni all'interno della squadra, di far rimanere i giocatori in panchina durante l'inno, come è successo con gli Oakland Raiders, o addirittura negli spogliatoi. Come hanno fatto tutti i giocatori dei Pittsburgh Steelers con un'unica eccezione: Alejandro Villanueva, un cadetto di West Point che ha combattuto in Afghanistan.

Di fronte a queste proteste, Trump ha rincarato la dose degli attacchi. "Credo che sia molto irrispettoso verso il nostro Paese e verso la nostra bandiera", ha dichiarato in New Jersey affermando che la sua posizione, che è stata subito attaccata come razzista perché prende di mira uno sport che ha il 70% dei giocatori afroamericani, non ha niente "a che vedere con la razza".

"I fan sportivi non dovrebbero perdonare giocatori che non sono fieri dell'inno nazionale o del Paese, la Nfl dovrebbe cambiare la sua politica", ha scritto dopo un tweet in cui aveva dichiarato che "non è accettabile" che i giocatori si inginocchino durante l'inno, mentre è una cosa positiva che rimangano in piedi, o uniti a braccia conserte.

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