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Premi a ricchi e corporation, ecco la riforma fiscale di Trump

02 dicembre 2017 | 14.41
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(Afp)
(Afp)

Una riforma fiscale che premia ricchi e corporation, senza portare vantaggi al ceto medio che invece Donald Trump aveva promesso di aiutare contro gli interessi delle elite e di Wall Street. E che farà ulteriormente aumentare il deficit federale, provocando nuovi tagli alla spesa pubblica, e quindi altri svantaggi per ceti medio bassi.

Quando i repubblicani hanno presentato la prima volta la riforma fiscale al Senato a novembre, alcuni senatori Gop avanzarono dubbi sull'iniquità fiscale del pacchetto di tagli fiscali più massiccio mai varato dagli anni ottanta. Ma alla fine il testo che è stato approvato - con molti dei cambiamenti dell'ultima ora scritti addirittura a mano per la fretta di assicurare la notte scorsa il voto favorevole di 51 repubblicani, tutti tranne Bob Corker che ha votato con 48 democratici - ha ancora meno vantaggi per le famiglie e nuovi vantaggi per i più ricchi.

Senza contare che, secondo le analisi del Congressional Budget Office, questa riforma nei prossimi 10 anni aumenterà di 1,4 trilioni, vale a dire 1400 miliardi di dollari, il deficit federale, aumentando "il peso sulle generazioni future", come ha detto Corker annunciando il suo unico 'no' repubblicano al piano.

La riforma fiscale, che ora ritorna alla Camera prima del voto finale, in effetti prevede sulla carta tagli fiscali per tutti con una riduzione delle aliquote. "Siamo ad un passo dall'approvazione di massicci tagli fiscali per le famiglie dei lavoratori americani", ha scritto Trump su Twitter subito dopo il voto al Senato, dicendo di voler firmare il testo finale prima di Natale. "I senatori che hanno votato per questo taglio delle tasse storico - ha detto ancora in una nota - hanno reso un grande servizio ai loro elettori, mettendo l'America per prima, per far crescere l'economia e ricostruire il nostro grande Paese".

Ma se si guarda alle cifre degli effettivi vantaggi nelle stime fornite dal Tax Policy Center la disparità è evidente: con la riforma il contribuente medio americano - con un reddito tra i 50mila e gli 85mila dollari - risparmierà 850 dollari nel 2019. Mentre per i contribuenti con un reddito superiore al milione di dollari sarà di quasi 35mila dollari, dal momento che il 90% dei benefici fiscali che arriveranno nei prossimi 10 anni dall'applicazione della riforma andranno solo al 20% dei più ricchi.

La disparità appare più evidente dopo il primo decennio: infatti i senatori, con il dichiarato intento di limitare la crescita del deficit, hanno reso temporanei gli sgravi per i singoli individui, mentre rimane permanente l'enorme riduzione, dal 35% al 20%, delle tasse per imprese e corporation. Quindi per il ceto medio americano si prevede un aumento delle tasse tra dieci anni.

E per finanziare questo enorme "corporate tax cut" i repubblicani hanno dato un altro colpo all'Obamacare, che non sono riusciti ad abolire ma stanno praticamente smontando pezzo per pezzo, eliminando una delle sue componenti più essenziali, "l'individual mandate", l'obbligo ad avere un'assicurazione, che avrà per conseguenza che 13 milioni di americani in meno saranno assicurati, compresi 5 milioni attualmente coperti dal Medicaid, l'assicurazione pubblica per i ceti più poveri.

Per i democratici con questa riforma si va verso "una maggiore iniquità fiscale, con i più ricchi che avranno i maggiori vantaggi", spiega Adam Looney, ex membro dell'amministrazione Obama ora analista della Brooking Institution. Alle accuse i repubblicani rispondono citando i dogmi della teoria del "tricke down" , cioè che il taglio fiscale per corporation e ceti più ricchi porterà ad una crescita dell'economia, alla creazione di posti di lavoro ed, in ultima analisi, alla crescita dei salari dei lavoratori.

Un messaggio, però, che almeno per il momento non sembra essere arrivato agli americani, dal momento che i sondaggi mostrano come la netta maggioranza, il 54%, degli elettori teme che questa riforma li danneggerà. Un percentuale che sale al 77% tra i democratici ed al 56% tra gli indipendenti, secondo un poll pubblicato nelle scorse settimane da Harvard-Harris.

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