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'Missione compiuta', Trump rischia gaffe come Bush

14 aprile 2018 | 17.44
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(Afp) - AFP
(Afp) - AFP

"Mission accomplished". "Missione compiuta". Donald Trump non usa mezze misure e si sbilancia con un tweet, ad appena 12 ore dal raid che gli Stati Uniti hanno condotto in Siria con Francia e Regno Unito. L'azione ha preso di mira strutture associate alla produzione di armi chimiche e, come chiarito dal Pentagono, non dovrebbe avere un seguito in tempi brevi.

Il condizionale, però, è d'obbligo: come ha precisato il segretario alla Difesa, James Mattis, un nuovo ricorso alle armi chimiche da parte di Damasco potrebbe costituire il presupposto di un altro raid. La missione a cui fa riferimento Trump con un tweet trionfalistico, quindi, non può essere considerata conclusa se non in parte.

The Donald, d'altra parte, non sarebbe nemmeno il primo presidente costretto a fare marcia indietro dopo una comunicazione 'eccessiva'. Le parole 'mission accomplished' riportano alla mente l'immagine di George W. Bush, il 1° maggio 2003, dalla portaerei Lincoln, ormeggiata nelle acque di San Diego.

Il presidente annunciò, un mese e mezzo dopo l'inizio dei raid, la conclusione "delle principali operazioni in Iraq: gli Stati Uniti e i loro alleati hanno prevalso. Ora la nostra coalizione è impegnata nella ricostruzione del paese. La nostra nazione e la nostra coalizione sono orgogliose del risultato". Parole pronunciate tra l'entusiasmo dei militari, con uno striscione a fare da cornice sullo sfondo: 'Missione compiuta', scritto a caratteri cubitali sulla bandiera a stelle e strisce.

A quasi 15 anni di distanza, gli Stati Uniti sono ancora presenti in maniera massiccia in Iraq. Alla fine dello scorso anno, il network Abc faceva riferimento ai dati del Defense Manpower Data Center secondo cui nel paese arabo erano presenti 8992 militari americani. In Siria, secondo la stessa fonte, gli uomini impiegati non raggiungevano le 2000 unità. Recentemente, Trump ha espresso la volontà di concludere l'impegno in Siria. Non sono chiare, però, la tempistica e le tappe del rientro.

COME ANDO' NEL 2003 - Le parole di Trump offrono un assist ad Ari Fleischer, all'epoca portavoce della Casa Bianca targata Bush, per tornare sull'episodio di 15 anni fa. "C'è un interessante retroscena in relazione alla vicenda 'mission accomplished'", scrive Fleischer in una serie di tweet. Alcuni giorni prima che il presidente Bush arrivasse con un jet sulla portaerei, "l'equipaggio ci fece sapere che stava tornando dalla più lunga missione di qualsiasi nave nella storia".

"Erano orgogliosi di quello che avevano fatto. L'equipaggio chiese allo staff della Casa Bianca se fosse ok appendere uno striscione con la scritta 'missione compiuta'. Noi ci dichiarammo prontamente d'accordo -aggiunge-. Lo appendemmo in un luogo di primo piano (perfettamente visibile alle spalle del presidente, ndr), in modo che potesse mandare un messaggio mentre Bush parlava alla nazione".

"Nel suo discorso, Bush dichiarò che il pericolo non era cessato -ricorda Fleischer- e che si profilavano missioni complicate, soprattutto nel triangolo sunnita. Il senso del discorso, in ogni caso, non poteva tuttavia competere con il messaggio dello striscione". E il banner, racconta Fleischer, "rimase lì" anche dopo la partenza del presidente. "Era ancora appeso quando la Abraham Lincoln rientrò a casa, nello stato di Washington". "E' stato un messaggio dell'equipaggio dall'inizio alla fine ed è stato anche lo sfondo per il discorso di Bush. A maggio 2003, tutti pensavano che la missione fosse compiuta. Le insurrezioni non si sarebbero pienamente manifestate prima dell'autunno 2003 e la stampa non criticò lo striscione", evidenzia Fleischer. "In autunno -conclude- la foto di Bush con lo striscione era diventata il simbolo di ciò che era andato storto. E ora sapete tutta la storia...".

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