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Lega, vent'anni di epurazioni: la prima vittima Rocchetta

04 marzo 2015 | 18.46
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Oggi è Tosi a rischiare l'espulsione ma è lungo è l'elenco di nomi degli 'esiliati' nel corso di quattro lustri: dall'ideologo Gianfranco Miglio a Irene Pivetti, cacciata per aver criticato la secessione. Negli anni duemila nella black list finì perfino la cagnetta Gilda

(Infophoto) - INFOPHOTO
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Flavio Tosi rischia l'espulsione e la 'sua' Liga Veneta il commissariamento. Se il dissidio con i vertici della Lega portasse all'addio del sindaco di Verona, il Carroccio farebbe un salto indietro di vent'anni, quando ad essere cacciato fu il leader della Liga e presidente del partito, il 'venetissimo' Franco Rocchetta, accusato di remare contro il Movimento di Umberto Bossi. Oggi cambiano i protagonisti: Tosi al posto di Rocchetta e Salvini al posto del senatur. Ma la musica è la stessa.

Quella delle epurazioni e delle espulsioni dal Carroccio è una storia lunga vent'anni. Come lungo è l'elenco di nomi degli 'esiliati' nel corso di quattro lustri. Il primo a sperimentare la durezza dello scontro interno al partito è stato, nel 1994, Franco Rocchetta, accusato, insieme alla ex consorte Marilena Marin e a Vittorio Aliprandi di essere "un berlusconiano" e di voler ritardare il cammino federalista. Per Aliprandi, ad aggravarne la posizione, anche l'accusa di morosità: "non ha pagato la quota mensile", si sentenziò subito dopo la pronuncia del Consiglio federale.

Oggi sul banco degli imputati c'è Flavio Tosi, reo di voler correre con una sua lista in Veneto, quando il candidato ufficiale è il governatore uscente Luca Zaia, come confermato dal Consiglio federale. E Salvini, pochi giorni fa aveva detto che chi contesta la candidatura è fuori dal Movimento. Ora Tosi dovrà decidere se restare o divorziare dal Movimento. In sette giorni, ha sentenziato il Consiglio federale.

Quello delle espulsioni è un 'vizio' antico della Lega. Basti pensare come negli anni successivi alla nascita della 'cosa' leghista tra quanti, nello studio bergamasco del notaio Giovanni Battista Anselmo, giurarono fedeltà ad Alberto da Giussano e alla causa federalista, i superstiti furono solo tre: Umberto Bossi, Francesco Speroni, l'ex assistente di volo col cravattino texano, e lo chansonnier piemontese Gipo Farassino.

Gli altri, tutti abbattuti, uno alla volta, come i dieci piccoli indiani, espulsi o costretti ad andarsene. Come Achille Tramarin, il primo parlamentare ad argomentare in dialetto nell'emiciclo di Montecitorio. O come Graziano Girardi, ex commerciante di tendaggi a Farra di Soligo e primo senatore leghista. Fuori anche Franco Castellazzi, proprietario di una discoteca con annessi striptease e primo capogruppo leghista alla Regione Lombardia. E ancora Bruno Ravera, Giorgio Conca, Carla Uccelli, Riccardo Fragassi, Roberto Gremmo, tutti leghisti della prima ora.

Nel 1994, dopo quattro anni di amicizia e tesi federaliste condivise, la rottura con l'ideologo leghista Gianfranco Miglio, che nel 1994 testimoniò al processo Enimont contro Bossi, imputato per una tangente di 200 milioni. Automatica l'espulsione, condita da una sfilza di insulti: "poveraccio, panchinaro, scorreggia nello spazio". Nel 1996 viene cacciata Irene Pivetti, eletta due anni prima allo scranno più alto di Montecitorio, prima presidente leghista della Camera ed anche la più giovane, a soli 31 anni. La sua colpa? Quella di essersi opposta all'idea della secessione della 'Padania', in quegli anni cavallo di battaglia del Carroccio.

Fuori dal partito si sono ritrovati, nel 1995, il primo capogruppo alla Camera Pierluigi Petrini, che si dimette da presidente dei deputati in contrasto con la decisione di Bossi di ostacolare la riforma previdenziale del governo Dini. Nel 1998 viene cacciato il segretario della Liga Veneta Fabrizio Comencini per aver rivendicato l'autonomia della sua formazione. Nel 1999 viene espulso il capogruppo alla Camera Domenico Comino per aver sostenuto la necessità di un'alleanza strategica con Forza Italia. E' definito "traditore", "venduto", "mangiabistecche berlusconiste", il dirigente che preferisce "le forchette" alla "spada di Alberto da Giussano". Un mese più tardi Bossi sceglierà proprio questa strada.

Nel 2004, vittime delle regole interne del partito e degli attriti con il 'cerchio magico' di allora anche Luigi Negri, fratello della moglie di Roberto Calderoli, e la consorte Elena Gazzola, presidente leghista del Consiglio comunale a Milano. Nella black list finì perfino la loro cagnetta Gilda, cui fu negato l'ingresso nel cortile di Palazzo Marino da una ordinanza ad hoc dell'allora sindaco Marco Formentini, che a sua volta, più in là, sarebbe stato convinto a fare le valigie, diventando l'ennesima 'vittima' illustre.

Nel 2012 altre espulsioni: il senatore Lorenzo Bodega, suo fratello Lamberto e Pierino Locatelli, consiglieri comunali a Lecco. Tutti e tre avevano protestato per l'espulsione della vice presidente del Senato Rosy Mauro, indagata dalla magistratura. Un anno dopo, nuova infornata di espulsioni e sospensioni avvenuta sul 'sacro prato' di Pontida dopo il passaggio di testimone dal senatur a Bobo Maroni. Fuori dal partito in 14, praticamente tutto il 'cerchio magico' bossiano: 10 esponenti veneti tra cui l'ex deputata Paola Goisis e 4 lombardi, fra i quali il componente del Consiglio federale Marco Desiderati e l'ex deputato Giovanni Torri. Graziato, ma di fatto estromesso dalla cabina di comando del Carroccio, un big come Marco Reguzzoni, ex capogruppo a Montecitorio.

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