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Pd: Renzi blinda Italicum, minoranza dice no e affila armi alla Camera

30 marzo 2015 | 21.01
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Il premier dice no a ritocchi e ricatti e prospetta la fiducia. Appello di Speranza e Cuperlo, c'è lo spazio per le modifiche. La sinistra 'dem' punta sulla prima commissione, dove ha la maggioranza di componenti. Al Nazareno va in scena il muro contro muro

Il premier Matteo Renzi
Il premier Matteo Renzi

"Ci metto il carico: la legge elettorale è uno strumento decisivo per l'azione del governo e per la legislatura". Matteo Renzi l'aveva chiarito subito che quella di oggi sarebbe stata "l'ultima Direzione" del Pd sull'Italicum. "A maggio dobbiamo mettere la parola fine" sulla nuova legge elettorale, era stata l'indicazione del leader dem. Ed è andata così, con la Direzione che ha votato all'unanimità (120 sì) la relazione del segretario. Ma la minoranza interna, dopo una raffica di interventi di fuoco, ha deciso di non partecipare al voto.

Il premier-segretario, nel suo intervento, mettendo quella che aveva definito una "fiducia tra di noi", aveva lasciato pochi margini all'immaginazione: "Dico subito che sono contro all'esigenza di ritocco" e anche "ricatto", poste dalle diverse aree interne al partito. Il "ritocco", cioè l'ipotesi di modificare l'Italicum, "sarebbe un clamoroso errore, un azzardo".

E se il "ritocco" era riconducibile per Renzi alla parte più dialogante delle minoranze, il "ricatto" il premier lo ha intestato ad Alfredo D'Attorre: "Il Pd non è il partito in cui quando non sei d'accordo ti mando sotto con il voto segreto, ma quello in cui quando non sei d'accordo si discute. E' un ricatto, e al ricatto non si risponde". Ma non è tutto, perchè il vero "carico" Renzi lo ha messo accennando all'ipotesi di fiducia alla Camera: "Ne parliamo a livello parlamentare".

D'Attorre, è Renzi che ricatta - il nodo dei numeri in commissione

(Adnkronos) - Con sfumature diverse, quindi, le minoranze interne hanno deciso di non votare in Direzione. Nelle intenzioni di Roberto Speranza, per proseguire con la mediazione". "Prendiamoci ogni margine possibile. Io continuerò a lavorare in queste ore, metto a disposizioni le mie funzioni per trovare una intesa", ha detto il capogruppo.

Un appello per una estrema mediazione ha lanciato anche Gianni Cuperlo ("Matteo, fidati del tuo partito e dei tuoi parlamentari"). Toni certamente diversi da parte di Stefano Fassina ("evitiamo un tasso di conformismo paragonabile al Partito comunista nordcoreano"), che ha preannunciato il suo no in aula, e da Alfredo D'Attorre: "Matteo, non ti è consentito dire che io ho fatto un ricatto. Io faccio una battaglia a viso aperto. Quella che fai tu, sulla fiducia, sarebbe invece un ricatto nel confronti del Parlamento".

Tutto finito? Difficile. Renzi ha confermato la sua determinazione ("nessun aut aut", ma "non può essere come il gioco dell'oca"), convinto che alla fine l'ostracismo più dura cadrà. L'opposizione interna però fa già i conti: in prima commissione alla Camera, dove domani inizia l'iter dell'Italicum, ha il peso maggiore nel Pd (12 membri su 23 tra cui Bersani, Bindi, Cuperlo e D'Attorre) e il governo di conseguenza i margini più stretti. E' un 'deja vu', perchè al Senato l'Italicum andò in aula senza voto sul relatore, ma da qui alla "parola fine" promessa per maggio da Renzi alla Camera (e alla dead line dell'approdo in aula del 27 aprile) saranno di certo scintille.

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