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Politica: 5 anni da strappo Berlusconi-Fini destra divisa, j'accuse Fisichella 'un suicidio'

19 aprile 2015 | 16.36
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Mercoledì anniversario del "Che fai mi cacci?" alla direzione nazionale del Pdl. Sul campo resta un centrodestra frantumato, con Silvio Berlusconi in perenne guerra con dissidenti e 'ricostruttori'

"Che fai mi cacci?" (fermo immagine d'archivio)

Riforme, legge elettorale, elezione del Presidente della Repubblica, nascita e morte del patto del Nazareno con Matteo Renzi. Sul campo, un centrodestra frantumato, con Silvio Berlusconi in perenne guerra con dissidenti e 'ricostruttori'. Della rivoluzione che ha investito la politica italiana ricorrerà il 22 aprile una delle prime tappe: mercoledì prossimo infatti saranno passati cinque anni esatti dalla Direzione nazionale del Popolo della libertà che fece deflagrare, nel segno del "Che fai, mi cacci?" il rapporto tra l'allora presidente del Consiglio e il presidente della Camera Gianfranco Fini a poco più di due anni dalla fusione di Fi e An nel Pdl.

Al centro dello scontro, la politica economica e sulla giustizia del governo, il rapporto con la Lega, l'inesistente democrazia interna al partito. La storia successiva vede la 'cacciata' per "incompatibilità di Fini e la nascita della formazione di Futuro e libertà che però non impedisce al governo Berlusconi, grazie ai 'Responsabili', di andare avanti ancora per un anno, prima di perdere pezzi a destra con Fratelli d'Italia e, nella legislatura successiva, al centro con il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano.

Di questi giorni la lotta 'fratricida' con Raffaele Fitto e gli scontri con Denis Verdini. Della frammentazione attuale dello schieramento, di "vero e proprio suicidio", parla con l'Adnkronos il professor Domenico Fisichella, che di An fu l''inventore' (ne scrisse in alcuni articoli su 'Il Tempo' nel settembre-ottobre del 1992), cofondatore nel 1995 e, fino al 2005 presidente dell'assemblea del partito, poi lasciato a seguito della riforma costituzionale della 'devolution' di quell'anno.

"Il mio non è un giudizio -esordisce- ma una constatazione: in questo Paese c'è stato un vero e proprio suicidio della destra e del centrodestra. E ho l'impressione che il Patto del Nazareno sia stato l'apologia del suicidio che si era già consumato".

Per l'ex ministro dei Beni culturali e vice presidente del Senato, "è stato un suicidio perché si configurava come una resa senza condizioni sul piano politico, ha neutralizzato completamente quel che rimaneva della destra, impedendole di svolgere il suo compito rispetto alla legge elettorale e alla riforma del Senato".

"E non è che ora che è stato sconfessato -prosegue- si possano rimettere insieme i cocci. D'altronde, ci sono fatti che si compiono non perché abbiano senso politico ma perché più rispondenti a interessi individuali. Oggi -rileva Fisichella- di fronte al dilagare di tante questioni, una destra costruttiva risulta disarmata e senza progettualità".

"Mi rendo conto -prosegue- che la Lega possa avere una forza di attrazione quando cavalca certi temi, però il discorso del Carroccio andava affrontato ben prima di certe decisioni". E qui Fisichella ricorda proprio il 'vulnus' rappresentato ai suoi occhi dalla riforma costituzionale del 2005 che lui non accettò annunciando in aula anche l'addio al partito.

E così, prosegue, "la prospettiva di una destra come l'avevo immaginata a suo tempo oggi è molto esile e il confronto mi pare si esaurisca tutto all'interno dell'area governativa". Quanto al rapporto con Fini, Fisichella riferisce di averlo incontrato in alcune occasioni: "Contatti all'insegna della cordialità ma non abbiamo trattato temi politici. Chissà, forse io sono un po' in là negli anni e comunque il destino della destra travalica i destini delle singole personalità...".

Ormai, probabilmente, degli stessi Fini e Berlusconi, dai quali Fisichella si era peraltro già allontanato da molto tempo (concluse la sua esperienza da senatore della Margherita), rispetto a quando, il 22 aprile 2010, si arrivò al redde rationem a due passi da San Pietro. Con il famoso "che fai, mi cacci?" pronunciato dal presidente della Camera al presidente del Consiglio che lo sfidava, se l'intenzione era di fare politica autonoma, a lasciare lo scranno più alto di Montecitorio.

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