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Pannella, democrazia diretta combattuta a colpi di referendum

19 maggio 2016 | 15.31
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Marco Pannella (Foto Adnkronos)
Marco Pannella (Foto Adnkronos)

Dal 1974 a oggi i Radicali hanno promosso 110 referendum, raccogliendo in totale più di 63 milioni firme. La Corte Costituzionale ne ha bocciati 48, mentre il Parlamento è intervenuto approvando 8 nuove leggi, 'disinnescando' la consultazione prima che i cittadini si recassero alle urne per esprimersi. Gli italiani hanno potuto votare per 47 referendum promossi dai Radicali e per 35 volte hanno prevalso i 'sì', ottenendo maggioranze che sono andate oltre il 90%.

I più menzionati sono quello sul divorzio e sull'aborto, passati alle cronache politiche e sociali come le principali conquiste del Partito Radicale. Ma paradossalmente proprio quei due quesiti - tra le tante consultazioni promosse, organizzate o co-organizzate dal partito di Torre Argentina - ebbero una storia a sé.

Il primo dicembre del 1970 venne introdotta la legge Fortuna-Baslini, che disciplinava i casi di scioglimento del matrimonio. La legge sul divorzio ebbe un percorso accidentato e combattuto in Parlamento con due fronti politici contrapposti. Ai tempi furono proprio gli antidivorzisti a utilizzare per primi le norme della legge 352 del 1970, che istituiva il referendum, organizzandosi nel Comitato nazionale per abrogare la Fortuna-Baslini. Radicali e socialisti, anziché adottare strategia conservativa, parteciparono alla raccolta delle firme (quelle convalidate dalla Corte di Cassazione in tutto furono oltre 1.300.000) e la Corte Costituzionale dichiarò la legittimità del quesito. Il referendum abrogativo della legge Fortuna-Baslini si tenne il 12 maggio 1974: vi partecipò l'87,7% del corpo elettorale. I no con il 59,3% salvarono la legge, contro la quale si espresse il 40,7% degli italiani.

La legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza venne introdotta nel 1978 ma venne sottoposta a referendum il 17 maggio del 1981, dopo una lunghissima gestazione iniziata con la raccolta delle firme, avviata tre anni prima da un fronte composito che comprendeva la Lega XIII maggio, il settimanale 'L'Espresso', il Partito Radicale, il Movimento di liberazione della donna e al quale aderirono Lotta continua, Avanguardia operaia e PdUP-Manifesto. Alla richiesta di abrogazione di diverse parti della legge del 1978, i 'sì' furono l'11,6% e i 'no' l'88,4%. In questo modo gli italiani decisero di mantenere in vigore la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza. Ma l'elenco dei referendum radicali è lunghissimo, come risulta da una scheda cronologica pubblicato sul sito del partito, tratta in parte dal libro "Storia dei referendum, Dal divorzio alla riforma elettorale", scritto dalla politologa Anna Chimenti.

Il 30 giugno del 1977 il Partito Radicale deposita otto referendum: legge Reale (ordine pubblico), finanziamento dei partiti, legge sui manicomi, Commissione inquirente, Concordato, Codice Rocco, codici militari, tribunali militari ma sono dichiarati ammissibili solo i quesiti sulla legge Reale, il finanziamento dei partiti, i manicomi e la commissione inquirente. Alla fine si voteranno solo quelli sulla legge Reale e sul finanziamento pubblico dei partiti e vincono i no.

Il 27 marzo 1980 comincia la raccolta delle firme per il nuovo pacchetto dei dieci referendum: legge Cossiga (ordine pubblico), reati di opinione, riunione e associazione, ergastolo, caccia, porto d'armi, tribunali militari, liberalizzazione delle droghe leggere, aborto, centrali nucleari, smilitarizzazione della Guardia di finanza.

Gli italiani vanno alle urne nel maggio del 1981. Ma dei dieci proposti, si vota solo per l'abrogazione della legge Cossiga sull'ordine pubblico, a cui gli elettori rispondono: Sì 14,9%; No 85,1%. L'abolizione dell’ergastolo finisce: Sì 22,6%; No 77,4%. e Infine sull'abolizione del porto d’armi: Sì 14,1%; No 85,9%.

Nel 1987 si torna alle urne, per votare sulla responsabilità civile del magistrati (il referendum si è svolto nel novembre 1987: Sì 80,2%, No 19,8%) e per l'abrogazione della Commissione Inquirente (Sì 85%, No 15%). Il 1987 è però un'altra pietra miliare nella storia dei referendum, con i tre quesiti 'antinucleari'.

Si chiede agli elettori se sono d'accordo sulla partecipazione italiana a consorzi internazionali che promuovono iniziative nel campo dell’energia nucleare (tipo il reattore Superphoenix); il contributo dello Stato agli enti locali che accettino la costruzione di una centrale nucleare sul proprio territorio; il parere degli enti locali, che da consultivo deve diventare vincolante. Localizzazione centrali: Sì 80,6%, No 19,4%; contributi agli enti locali: Sì 79,7%, No 20,3%; centrali all’estero: Sì 71,9%, No 28,1%.

Nel 1990 è l'ora dei due referendum sull'abolizione della caccia e sui pesticidi che vengono annullati perché non viene raggiungono il quorum del 50,1% . Nel 1992-93 i Radicali organizzano e vincono, insieme al deputato Dc Mario Segni, l'abolizione del sistema elettorale proporzionale con un passaggio a un meccanismo misto, per il 75% uninominale-maggioritario e il restante 25% proporzionale.

Quello sul sistema elettorale del Senato viene invece ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale. Stessa sorte per l'estensione del sistema elettorale maggioritario ai comuni con più’ di 5 mila abitanti.

Altra raffica di otto consultazioni nel 1993, contrassegnata dal quesito sul finanziamento pubblico ai partiti politici, che viene abolito con una maggioranza bulgara del 90,3% e i no si fermano al 9,7%. La legge viene poi disconosciuta e aggirata dalle nuove norma applicate alle elezioni politiche del 1994, che cambiano il meccanismo e introducono un sistema di finanziamento basato sui rimborsi delle spese elettorali in base ai voti ottenuti. Un'altra iniziativa si arena sulle secche dell'astensionismo.

Il 12 e 13 giugno del 2005, i Radicali (insieme ai Ds, Rifondazione, Sdi, Verdi, Cgil e alcuni esponenti della Cdl), chiamano gli italiani a esprimersi su 4 quesiti: limite alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni; 2 quesiti sulla procreazione medicalmente assistita e infine sul abolizione del divieto di fecondazione eterologa. La strategia del no (partiti moderati e di centrodestra, chiesa e organizzazioni cattoliche), puntano l'intera posta sull'astensionismo e difatti nessuno dei quattro quesiti raggiunge il quorum necessario. L'astensionismo prevale nel referendum-trivelle del 17 aprile. Alle urne si presenta solo il 31,2% degli aventi diritto: i sì raggiungono l’85,8%, i no prendono il 14,1.

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