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Cossiga nasceva 88 anni fa, la sua lezione su riforme e nuovo ordine mondiale

26 luglio 2016 | 15.56
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Foto Adnkronos
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Francesco Cossiga oggi avrebbe compiuto 88 anni. L'ottavo Presidente della Repubblica, passato alla storia come il 'Picconatore' di un'Italia ufficiale impreparata alle sfide poste dalla fine della Guerra fredda, poi affermatosi come instancabile battitore libero della politica, ad appena sei anni dalla scomparsa (17 agosto 2010) resta fra i protagonisti indimenticati dell'ultimo scorcio del Novecento italiano e dell'inizio del nuovo millennio.

Un anniversario, quello della nascita di Cossiga, che offre molti spunti di riflessione in un panorama caratterizzato, sullo sfondo della guerra mondiale 'a pezzetti' sferrata dal terrorismo, dalla spinta verso quelle riforme costituzionali, tanto invocate a suo tempo dal Colle e dallo scranno senatoriale, che ora si affacciano al 'tribunale' popolare del referendum che dovrebbe tenersi tra ottobre e novembre.

Alla vigilia, insomma, di un possibile nuovo ordine interno, e in attesa del tanto agognato nuovo ordine mondiale, l'esempio e la figura di Francesco Cossiga restano fonte di studio, ispirazione e, probabilmente, solo in quel quadro di possibile svolta si potrà scrivere la parola definitiva e veritiera sulla sua esperienza e su una fase cruciale della storia dell'Italia democratica.

"Abbiamo bisogno di una democrazia compiuta e governante”, ebbe a scrivere nel suo famoso messaggio alle Camere. Per lui, d'altronde, “la richiesta di riforme istituzionali, di nuovi, moderni e più efficienti ordinamenti e procedure, non è una richiesta solo ‘politica’ o tanto meno ‘di ingegneria costituzionale’, ma è una richiesta civile, morale e sociale di governo, di libertà, di ordine, di progresso da parte della gente comune".

Una richiesta proveniente, sottolineava, anche "da parte di quei gruppi e di quei settori dirigenti del sistema politico, economico, culturale che avvertono come dinnanzi alle incalzanti scadenze europee, all’inadeguatezza dell’amministrazione, alle carenze e lentezze della giustizia, al dissesto della finanza pubblica, l’Italia corra il rischio di perdere o di vedere insidiato il posto che si è meritatamente conquistato nel concerto delle Nazioni”.

Riforme e guerra: curiosamente, due punti centrali dell'esperienza presidenziale di Cossiga. Nella fase notarile della sua permanenza al Quirinale, dal 1985 al 1991, si consentì un'unica vera esternazione: pose la questione di quali fossero i poteri reali del Capo dello Stato in caso di guerra, dando la stura a dibattiti e analisi e contro-analisi che sfociarono nei lavori della commissione Palin, come ricorda l'editore-direttore dell'Adnkronos Pippo Marra.

Cosa affatto diversa è quella che si potrebbe definire il "Cossiga atto secondo", quando sul finire della divisione del mondo in blocchi contrapposti Usa-Urss, l'allora Capo dello Stato, strenuo atlantista, "non accettò di diventare il capro espiatorio su cui scaricare tutte le colpe di un sistema politico ormai nell'ora crepuscolare", si legge ancora nel ricordo di Pippo Marra.

Una rievocazione che consente di guardare alla dimensione non solo politica di Cossiga, ma anche a quella filosofica dell'esperienza di un cattolico così tormentato, non a caso grande ammiratore del cardinal John Newman, anglicano convertito al cattolicesimo, con tutte le inquietudini spirituali dei pionieri e dei grandi solitari. Ed ecco emergere il Cossiga incerto sul da farsi, dopo le dimissioni del 28 aprile 1992.

Nella sua testimonianza da amico fraterno, Marra ricorda di avergli citato l'esempio, quasi a esortare una tregua politica, di Charles De Gaulle, padre della Quinta Repubblica, che dopo aver perso un referendum nemmeno troppo significativo, si era ritirato in Irlanda, Isola molto amata dallo stesso Cossiga.

"Non sono De Gaulle e l'Italia non è la Francia", fu la risposta del presidente dimissionario, che aggiunse: "Da noi la cronaca fa premio sulla storia. E se abbandoni la scena non ti dimenticano, ti massacrano. Ricorda il mio amico Andreotti. Tirare a campare e meglio che tirare le cuoia".

Eppure, al di là del realismo a volte aspro, Cossiga ne emerge, sulla scorta della suggestione irlandese, come protagonista di un'opera-mondo: nell'Ulisse di Joyce come nell'Ulisse di Omero, "si racconta l'avventura dell'uomo nel mondo".

Ma in lui, la politica faceva premio sulla letteratura e così, si conclude il ricordo, "altro che passeggiate sugli arenili della Itaca irlandese. Il Picconatore tornò presto al potere della parola, del sapere. Come aveva teorizzato uno dei padri della filosofia moderna, Sir Francis Bacon, le cui opere Cossiga aveva divorato fin dagli anni dell'università, il potere è sapere, il sapere è potere".

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