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Aldo Moro, Gotor: "Era il vero riformatore, quello che disturbava"

22 settembre 2016 | 14.56
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Aldo Moro e Enrico Berlinguer
Aldo Moro e Enrico Berlinguer

di Francesco Saita

"Moro? Uno dei protagonisti più autorevoli di una fase progressiva, espansiva e inclusiva della democrazia italiana e sarebbe arrivato al Quirinale come disse Pertini. Lui e Berlinguer sono due pugili che scelgono di abbracciarsi". Lo dice all'AdnKronos lo storico e senatore del Pd Miguel Gotor, ricordando Aldo Moro a cento anni dalla sua nascita (Moro, l'uomo del centrosinistra e della solidarietà nazionale, leggi) . "Lo statista scudocrociato è consapevole della crisi irreversibile del centrismo e che la Dc non possa bastare a se stessa - sottolinea Gotor -. Per mantenere la sua centralità ritiene che sia necessario farla incontrare con altre forze popolari e di massa: prima i socialisti e poi i comunisti. Egli parte dalla consapevolezza che la destra italiana ha una forza sociale più larga della sua rappresentanza parlamentare e un potere condizionante il gioco democratico più elevato di quello che si pensa".

Secondo l'autore della edizione critica del carteggio del leader Dc dal carcere brigatista "il Moro più importante è quello che è sopravvissuto e ha potuto governare, vale a dire quello della fase socialista", mentre il secondo Moro, quello della solidarietà nazionale "viene ucciso e il suo progetto politico non riesce a esplicarsi pienamente. Per impedirlo, però, lo devono eliminare". "Diciamo che lui è il politico che ha praticato l'unico vero riformismo, quello che disturba", sottolinea il senatore dem.

L'incontro con i comunisti, cercato a cavallo degli anni '70, "di sicuro fu un tentativo di tamponare l'emergenza e affrontarla con una proposta di governo, in prospettiva e forse una nuova fase della democrazia italiana", aggiunge Gotor: "Moro e Berlinguer sono due pugili che scelgono di abbracciarsi: è difficile prevedere cosa sarebbe scaturito da quell'abbraccio se Moro non fosse stato ucciso. Anzi è inutile e sbagliato chiederselo: perché Moro è stato ucciso proprio a causa di quell'abbraccio".

"Il progetto di Moro della solidarietà nazionale è condizionato dalla crisi politica, sociale, civile ed economica che l'Italia viveva negli anni Settanta", dice Gotor, perché "quella crisi, che egli comprende come pochi nei suoi molteplici aspetti, lo induce a cercare una interlocuzione di carattere difensivo con il Pci di Enrico Berlinguer, anche lui condizionato da quanto era avvenuto in Cile con il golpe di Pinochet".

"E certamente, all'interno di questa crisi, svolge un ruolo predominante la cosiddetta strategia della tensione - dice ricordando quegli anni a cavallo tra '60 e '70 - con la scia di stragi di cittadini inermi e di tentativi golpisti di marca neo-fascista e non solo che si susseguono in cui il network piduista ha svolto un ruolo, penso ad esempio alla vicenda del golpe Borghese o al tentativo di Sogno".

"Per quanto riguarda Gelli, basti dire che la sua segretaria Nara Lazzarini ha testimoniato che quando il 16 marzo 1978 ricevette la notizia dell'agguato di via Fani, avrebbe commentato 'il più è fatto'.

Gotor ricorda come Moro "avesse vissuto la stagione della contestazione giovanile che comincia nel '68 in casa attraverso gli occhi dei suoi figli. E cerca di capire. Lo aiuta il fatto che si trova in una fase di isolamento politico e ha più tempo da dedicare alla lettura, al confronto e agli incontri". "Il rapporto di Moro con i giovani - aggiunge Gotor - fu intenso e partecipato, frutto della sua naturale vocazione all'insegnamento che non volle mai interrompere. Chi ha rapito Moro e lo ha ucciso non era un alieno calato da Marte, ma era mescolato con la generazione di studenti e con i luoghi che Moro frequentava di settimana in settimana".

Moro è stato spesso messo sotto accusa per il suo linguaggio complesso: "Il luogo comune dell'involuzione del linguaggio di Moro era un modo per contrastarlo - spiega Gotor - . Ad esempio, colgo l'occasione per ricordare che l'espressione 'convergenze parallele' non fu da lui mai pronunciata, ma gli venne polemicamente attribuita da Eugenio Scalfari, il quale in verità aveva buone ragioni per avercela con Moro, e da quel momento usata per denigrarlo".

"Considero l'ultimo discorso di Moro ai gruppi della Dc un testo magistrale di oratoria politica e chi lo desidero oggi può ascoltarlo sul sito http://www.aldomoro.eu. Le lettere di Moro dalla prigionia meritano un discorso a parte perché sono il prodotto di un contesto violento e drammatico. Esse furono strumentalizzate sia dai sostenitori della fermezza che tutti, forse con la pubblica eccezione di Enzo Forcella, ritennero fossero estorte e non moralmente attribuibili a Moro, sia dai fautori della linea della trattativa, che vollero sostenere invece che il prigioniero fosse integralmente 'compos sui'", sottolinea il senatore che è membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro.

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