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Pd, la minoranza fa i conti: 70-80 eletti alla Camera con nuovo Ulivo

02 febbraio 2017 | 19.56
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Tra i settanta e gli ottanta eletti alla Camera. Questi i calcoli che si fanno nella minoranza Pd. Se il nuovo Ulivo si attestasse sul 10 per cento, tanti sarebbero i deputati a Montecitorio. Un numero non irrilevante per concorrere alla formazione di un governo. E di certo un numero molto più consistente dei posti in lista che Matteo Renzi riserverebbe alla minoranza. "Infatti se fosse solo una questione di posti, dovremmo essercene già andati...", osserva Nico Stumpo.

Ma non è questione di posti, dicono nella minoranza dem. Lasciare il Pd resta l'ultima delle opzioni, l'extrema ratio. "Per questo stiamo facendo una battaglia per una legge elettorale decente, per fare le cose che servono al Paese con il governo Gentiloni, per un congresso vero e non la 'gazebata' che propone Orfini. Ci proviamo fino all'ultimo", aggiunge Davide Zoggia.

Dal versante renziano, però, la vedono in maniera diversa: "Possiamo anche offrire la luna, ma la minoranza vuole solo una cosa: lo scalpo di Renzi". Comunque, nonostante i bersaniani abbiano respinto al mittente l'offerta, la proposta di Orfini verrà dettagliata nelle prossime ore. Si sta studiando una data per le primarie e la più gettonata è quella del 26 marzo.

Le primarie per la premiership però non bastano alla minoranza. Dice Zoggia: "Serve democrazia interna e si chiama congresso. Non ci sono scorciatoie. Perché qui non c'è solo da discutere la leadership. Occorre confrontarsi su linea politica, alleanze, non c'è solo da scegliere quale faccia mandare in tv...". Sottolinea Pier Luigi Bersani: "Non è che noi possiamo arrivare a votare, senza aver fatto il punto in casa nostra. Quindi, se non si vuole fare il congresso, si faccia qualcosa che ci mette in condizione di discutere apertamente".

Altrimenti, ognuno per la sua strada. Bersani ha già delineato il progetto: "Non possiamo rassegnarci all'idea di un soggetto chiuso nel proprio campo. Serve una pluralità che vada dalla sinistra radicale al civismo. Poi le forme in cui questa idea si potrà realizzare le troveremo. L'Ulivo che ho in mente non è un revival del passato, è un Ulivo 4.0".

Un campo che si incrocia con le evoluzioni a sinistra dove Sinistra Italiana sta implodendo ancora prima di nascere con la componente Scotto che guarda ai possibili fuoriusciti dal Pd e poi c'è l'area di Giuliano Pisapia, e ancora Michele Emiliano, fino a Massimo D'Alema e al suo 'Consenso'. Oggi D'Alema, tra l'altro, ha visto Nichi Vendola e Nicola Fratoianni. Insomma, attivismo sostenuto nel campo della sinistra.

Al potenziale nuovo Ulivo però manca, al momento, un front man al di là delle personali ambizioni dei vari protagonisti in campo. Oggi, per dire, è stata sottolineata positivamente l'uscita anti-voto anticipato del ministro Carlo Calenda. La prima voce di governo fuori dal coro. Qualcuno, vedi Massimo Mucchetti, ha definito Calenda una 'risorsa per il Paese'.

Apprezzamenti che hanno provato commenti sarcastici da parte dei renziani. Tra il ministro dello Sviluppo economico e Matteo Renzi, da tempo, i rapporti sono tiepidi "e se doveva esserci uno del governo che si smarcava, non poteva che essere lui", si fa sapere. "E comunque a quelli che evocano un giovane Prodi - si sottolinea - converrebbe parlare semmai di giovane Monti, visti gli ambienti da cui proviene Calenda".

La franceschiniana Marina Sereni di Areadem chiede a tutti di deporre le armi: "Fermiamoci un attimo, tutti quanti! Renzi, da segretario, ha la responsabilità di costruire (ricostruire) le condizioni di un dialogo e di un confronto nel gruppo dirigente del Pd. La minoranza o le minoranze hanno la responsabilità di partecipare a questa discussione togliendo dal tavolo la pistola carica della scissione".

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