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Toghe in politica, riparte iter legge: ecco cosa cambia

20 marzo 2017 | 09.30
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Foto di repertorio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA
Foto di repertorio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA

Nuove regole per i magistrati che scendono in politica. Se ne torna a discutere alla Camera, a tre anni dalla prima approvazione del testo al Senato. Dal marzo 2014, il provvedimento è rimasto congelato a Montecitorio, tra le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali, ma ora - grazie all'intesa tra maggioranza e opposizione - la pdl rientra oggi in aula, profondamente modificata dal lavoro delle commissioni rispetto alla prima versione approvata a palazzo Madama. Di conseguenza il testo, una volta uscito dalla Camera, dovrà tornare al Senato per la terza lettura.

Elemento cardine del ddl è il divieto di candidabilità al Parlamento europeo, a deputato o senatore, presidente e consigliere regionale, provinciale per tutti i magistrati - siano essi ordinari, contabili, amministrativi o militari - che nei 5 anni precedenti l'accettazione della candidatura abbiano prestato servizio nelle sedi o negli uffici giudiziari con competenze riferite in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale. Lo stesso criterio si applica al candidato-sindaco, consigliere comunale, circoscrizionale.

La legge vieta anche di assumere l'incarico di assessore comunale, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della provincia in cui il magistrato ha prestato servizio nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura o di assunzione dell'incarico.

I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non possono assumere l'incarico di presidente o vicepresidente del Consiglio, ministro, viceministro, sottosegretario, assessore regionale o comunale se non sono collocati in aspettativa. L'aspettativa è obbligatoria per l'intero periodo di svolgimento del mandato o dell'incarico di governo. Cambiano anche le norme sul ricollocamento nel caso di mancata elezione. I magistrati possono rientrare al ruolo di provenienza ma, nei due anni successivi alla data delle elezioni, non possono esercitare le funzioni inquirenti, né essere assegnati a un ufficio che ha competenza sulla circoscrizione elettorale nella quale si sono presentati. Al termine del mandato elettivo le toghe che non abbiano ancora raggiunto l'età pensionabile, possono accedere nuovamente agli incarichi ma come consiglieri o alla procura generale della Cassazione o in alternativa in un distretto di Corte d'appello che non coincida territorialmente con la circoscrizione di elezione.

Il testo prevede l'interdizione per tre anni di assumere incarichi direttivi e il vincolo triennale di esercitare unicamente le funzioni giudicanti in un organo collegiale. In alternativa i magistrati potranno chiedere di essere assegnati al ministero della Giustizia ma con una collocazione amministrativa o all'avvocatura dello Stato.

Il raggiunto accordo in commissione non garantisce tuttavia un percorso senza ostacoli al testo, il cui arrivo in aula è stato preceduto da uno scambio di colpi tra Renato Brunetta e il Pd. Il capogruppo di Fi aveva attaccato la presidente della commissione Giustizia, Donatella Ferranti, colpevole, a suo avviso, di aver "insabbiato" il provvedimento per un presunto "conflitto di interessi", essendo la Ferranti una magistrata prestata alla politica. Bollando l'"inopportunità" delle parole di Brunetta, il capogruppo del Pd Ettore Rosato aveva aggiunto che a suo avviso "neanche Forza Italia ci tiene così tanto, avendo tolto" il provvedimento "dall'elenco delle proposte spettanti al suo gruppo, giusto in tempo per ritirarla fuori alla bisogna e attaccare una delle commissioni più efficienti del Parlamento".

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