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Berlusconi non molla

14 aprile 2018 | 07.25
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(Adnkronos)
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Nessuno può venire a dire a me, al mio partito e ai miei elettori cosa devo fare. Siamo risultati primi, abbiamo noi il diritto di fare per primi una proposta di governo, vediamo che succederà, ma nessuno può dire 'tu sì, tu no', queste sono cose inaccettabili in una democrazia...''. Dal Molise, durante il 'tour elettorale' per le regionali, Silvio Berlusconi tiene il punto con Matteo Salvini e ribadisce che se Luigi Di Maio non toglie il veto su Fi non si va da nessuna parte.

Il Cav sfida il M5S, lasciando intendere che un governo di centrodestra con premier Salvini si può fare anche senza i cinque stelle, grazie al soccorso-sostegno di ''tanti parlamentari di buon senso". Ora il Paese ha bisogno di stabilità come ha chiesto Mattarella, non c'è tempo da perdere, ma io devo essere della partita, va ripetendo l'ex premier in queste ore, convinto che i voti vanno trovati in Parlamento. E che, come extrema ratio, resti sempre la carta del governo del presidente. In via Bellerio, però, c'è scetticismo e anche un certo nervosismo. Tant'è che Salvini torna a minacciare il voto se Fi e Cinque stelle ''continuano a bisticciare e a non essere responsabili''.

L'unica certezza è la premiership: al Quirinale i leader di Fi, Fdi e Lega hanno fatto un solo nome, quello di Salvini, congelando la carta Giancarlo Giorgetti. Di fronte all'ennesimo stallo, le diplomazie provano a trovare un compromesso. In queste ore si torna a parlare di quel passo indietro o di lato che il Cav potrebbe fare per riavviare il dialogo tra Lega e grillini e arrivare a un'intesa programmatica, facendo cadere la conventio ad excludendum ai danni di Fi.

Raccontano che giovedì, qualche segnale in questo senso c'era stato dalle parti di palazzo Grazioli. Secondo alcuni rumors, Salvini e il leader azzurro erano addirittura a un passo dall'accordo, con Fi pronta a non andare a palazzo Chigi ma a dare l'appoggio esterno (o a garantire l'astensione) al governo giallo-verde. Tant'è che Di Maio ai suoi parlamentari confidava che fino a sei ore prima dell'avvio del 'secondo round' di consultazioni al Colle fosse convinto di una rinuncia del leader azzurro.

Anche ieri, da Arcore, smentiscono con forza ''abdicazioni'', ''cessioni di sovranità'' e ''passi indietro" che suonerebbero come un ''suicidio politico'', visto che ''il M5S pone veti su Fi a prescindere dal leader e questo è inaccettabile". "Berlusconi è già fuori dal Parlamento, non è candidabile e dopo il 4 marzo non è più leader della coalizione, cosa vogliono?", si chiedono fonti azzurre, che avvertono: ''Nessuno può mettere in discussione la leadership di Fi con il 14% di voti ottenuti da 5 milioni di elettori alle ultime elezioni''.

E se il 'passo di lato' si materializzasse nella nomina di Antonio Tajani alla presidenza di Fi? Anche questa domanda troverebbe una risposta scontata se il veto di M5S restasse categorico sulla presenza del colore azzurro nella futura squadra di governo. Giorgio Mulè, portavoce unico dei gruppi parlamentari forzisti, è secco nell'escludere un appoggio esterno, senza ministri Fi, a un esecutivo M5S-Lega: ''E' come dire: salite sul torpedone, pagate il biglietto e poi vi buttate nel burrone. Lo fareste? Non facciamo i portatori d'acqua".

Insomma, il clima nel centrodestra resta burrascoso e confuso, almeno per adesso. Salvini continua a guardare ai Cinque stelle, Meloni è ancora irritata per essere stata 'zittita' giovedì al termine delle consultazioni (di fatto il Cav le ha impedito di parlare ed è rimasta l'unica leader a non intervenire). Resta, intanto, un interrogativo che in tanti, soprattutto tra gli azzurri, si chiedono in queste ore: chi ha fatto credere a Di Maio che Berlusconi era pronto a fare un passo indietro? Salvini o Giorgetti? O chi per loro? Non è dato saperlo.

Fatto sta che Berlusconi, raccontano, dopo aver sfiorato la rottura con gli alleati la scorsa notte al punto di pensare di disertare l'incontro di giovedì al Quirinale, non avrebbe alcuna intenzione di cedere lo scettro a qualcuno, nonostante aleggi sempre di più ad Arcore lo spettro del partito unico, evocato da Giovanni Toti e auspicato dai leghisti.

Neanche Gianni Letta, il più convinto sostenitore della linea dura (ovvero, meglio andare all'opposizione che cadere nella trappola di Salvini-Di Maio, magari attendendo le prossime mosse del Pd) sarebbe riuscito a mollare la presa.

L'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio anche giovedì, durante il vertice a palazzo Grazioli, raccontano fonti azzurre, d'intesa con Niccolò Ghedini, avrebbe messo di nuovo in guardia il presidente di Fi dal rischio di essere tagliato fuori dai giochi non appena la Lega trovi il momento più opportuno per farlo, probabilmente la vittoria in Friuli Venezia Giulia.

Molti azzurri, infatti, sono pronti a scommettere che il "giorno dopo il successo del leghista Fedriga, Salvini invita Fi a dar vita al partito unico, lanciando di fatto l'Opa sul partito azzurro".

Berlusconi si trova tra i due fuochi, insomma. Meglio cedere al pressing di Salvini-Di Maio o tirar dritto come gli consigliano i suoi collaboratori storici? Per ora sceglie la via mediana, giocando, come al solito su più tavoli, consapevole che il boccino è sempre nelle mani di Salvini e spetta a lui menar le danze. Poi chissà.

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